San Gavino Monreale – dal Dizionario Angius-Casalis

Commercio. I sangavinesi vendono una considerevole parte de’ prodotti agrari e pastorali, vendon mattoni, tevoli, stoviglie, bosco, tele e coperte di letto.

Da quello che mettono nel commercio, di grano, orzo, legumi, zafferano, olivi, possono negli anni felici ritrarre per lo meno ll. 180,000, mentre da prodotti pastorali in formaggi, lane, pelli, capi vivi, possono ottenere ll. 12,000, e dall’opere figuline, dal bosco, e da altro ll. 8000: in totale ll. 200,000.

In Sangavino sono pochissimi che attendano al negozio, e con piccoli capitali. Vi sono quattro botteghe di generi coloniali, due di pizzicagnoli.

Si fa mercato nelle quattro feste principali del paese, alle quali concorrono de’ mercantuzzi da varie parti. La fiera maggiore è per la festa di s. Lucia. Ricorrono esse nella domenica prima di luglio, nel 12 agosto, nella domenica prima di settembre, nel 13 di dicembre.

Le strade, per cui comunica co’ paesi vicini, son ben carreggiabili ne’ tempi asciutti, difficilissime ne’ tempi piovosi, perchè spesso le ruote e i giumenti si affondano nel fango.

Dista Sangavino da Samassi a scirocco miglia 7; da Uras verso maestro-tramontana miglia 10; da Pabillonis a maestrale miglia 4; da Sardara verso tramontana miglia 4; da Villacidro verso ostro-libeccio miglia 6; da Guspini verso ponente miglia 7 e più; da Gonnosfanadiga verso libeccio miglia 7 per la via detta di Piscina Laderi, perchè passa presso lo sfossamento fatto per il materiale de’ mattoni crudi, che suole empirsi dall’alluvione; finalmente da Sellori verso levante miglia 5.

Ho notato le opere figuline, come un ramo produttivo, e tale è veramente.

I sangavinesi, come quei di Pabillonis, Guspini e Pau, fabbricano tegole, mattoni, quadrelle, brocche, pentole, tegami e altre grosse stoviglie, e ne fanno grande spaccio. Sarebbe un gran bene che quest’arte si perfezionasse, perchè non sarebbe necessità di importare dall’estero tante majoliche.

Religione. La parrocchia di Sangavino, compresa nella giurisdizione del vescovo d’Ales, è governata da un parroco, cui dassi il titolo di rettore, e assistono nella cura delle anime quattro o cinque sacerdoti.

Vi sono senza cura d’anime alcuni altri preti, due con ufficio di cappellania, quattro, o più altri, senza particolari obbligazioni.

La chiesa maggiore, sufficientemente capace, con nove altari tra cappelloni e cappelle, ha per titolare s. Chiara, monaca dell’ordine serafico, e fu eretta in parrocchiale da un monsignore Fra Lorenzo de Villa-Vincenzio spagnuolo, dell’ordine di s. Francesco, vescovo della diocesi d’Ales intorno all’anno 1580.

Sebbene la medesima goda di una dote, che presumesi non minore di ll. n. 50 mila di capitale, tutta-volta la sagrestia non è tanto fornita, come si potrebbe supporre.

Le decime che si percevono dal parroco sono considerevoli, massime in anni di fertilità, perchè si è potuto raccogliere ne’ magazzini starelli di grano 4000, d’orzo 1400, di fave 1600, di legumi 100, di zafferano libbre 36, di vino màrigas 450 (di litri 50); dopo i quali articoli dovrebbonsi computare le decime pastorali, in capi vivi e formaggi.

Il solo frumento calcolato a ll. 8 lo starello darebbe ll. 32,000; le altre parziali eleverebbero questo numero a più di ll. 50,000.

Che se non in tutti gli anni i seminati danno copio-si frutti (io qui ho posto che dessero dal 10 al 12, il che è frequente, e sarebbe ordinario se le stagioni non corressero talvolta meno favorevoli), se non tutti pagano la vera decima; non pertanto è ben evidente che i ministri hanno per il loro servigio una limosina larghissima, o dirò meglio un pinguissimo beneficio.

Ma dicasi il vero non è in questo solo la solita rendita del parroco, perchè si devono pure computare i frutti di stola, che in un paese di molto popolo debbono essere abbondanti, già che comprendono le limosine per messe, novene, processioni, benedizioni, esequie, ecc.

La quantità de’ legati pii della parrocchia di Sangavino è considerevole, e parlando rispettivamente alle lascite per celebrazione di messe devo pur dire esser queste in tanto numero, che, i sacerdoti del paese non bastando al numero delle medesime, bisogna mandar altrove la limosina di migliaja per satisfare a tutte le obbligazioni.

Le chiese minori sono quattro, denominate dalla s. Croce, da s. Gavino, da s. Severa, da s. Lucia. La prima è dentro il popolato ed ha un piccol cemiterio.

La seconda, come le altre due, è fuori dell’abitato, e molto antica, se come porta la tradizione già esisteva intorno al mille dell’e. v.

Secondo questa tradizione essa sarebbe di tempo inferiore alla unione co’ nurazzellesi delle piccole popolazioni, che aveano sede ne’ due luoghi, che sono detti, uno Ruinas-mannas (il che indicherebbe un abitato piuttosto grande), l’altro Ruineddas (che direbbe un abitato meno esteso); e siccome questa appellazione di Ruinas (rovine) porta una distruzione violenta, però si potrebbe congetturate che queste abitazioni fossero state rovesciate da furore ostile, come forse accadde anche alle abitazioni di Nurazzellu, che distava di sole tre miglia dalle due suindicate.

Potrebbesi ancora andar più avanti nella congettura e riferir quelle rovine a’ saraceni, che verso quell’epoca, trovandosi assaliti nell’interno da’ popoli sardi, e in su’ littorali dalle flotte di Pisa e di Genova, fecero con furore barbarico i maggiori guasti che potevano.

Forse fuggirono anche i Nurazzellesi, e quando il nemico si partì dall’isola ritornarono insieme co’ popolani dei due luoghi vicini, di cui ignoriamo il nome antico, e li accolsero in Nurazzello.

Proposte queste oscure memorie storiche proporrò quello che nelle tradizioni si trova rispettivamente alla chiesa di s. Gavino, cioè che in principio fosse la medesima ufficiata da monache; e se fosse così potrebbesi riconoscer qui il monistero de’ santi Gavino e Lussorio, del quale è menzione nelle epistole di s. Gregorio VIII (ep. 7, c. 9) e fu abbadessa Sirica, e poi Gavinia; potrebbesi pure ragionevolmente stimare che questa chiesa dopo la detta riunione de’ tre popoli fosse eretta in parrocchia, e desse il nome a’ tre popoli riuniti; che la popolazione disposta intorno alla medesima cominciasse a distendersi a ponente verso la chiesa di s. Chiara, e che nel 1550 già che si fosse tanto ritirata da Nurazzellu e approssimata a s. Chiara, da essersi dovuto trasferire il parroco per comodo de’ suoi parrocchiani dell’antica nell’attuale parrocchia per comodo del popolo.

Nell’anno 1725 il teologo Francesco Porzella, rettore parrocchiale, faceva raddoppiar nell’interno le mura della chiesa di s. Gavino, coprendola con volta; ma lasciava intatta l’opera antica del presbiterio e la facciata, in cui era una iscrizione gotica, che ora è quasi tutta cancellata per corrosione.

La terza, prossima a quella di san Gavino, perchè il suo piazzale è limitrofo al cimitero, era già come in mezzo all’abitato di Nurazzellu, come porta la tradizione, dalla quale consta parimente che sotto l’altare al lato dell’epistola sieno stati deposti due corpi santi.

La quarta, distante quattro minuti dalla popolazione, fu già uffiziata da’ monaci benedittini, e governata dopo la partenza di questi da un cappellano, al quale i paesani davano il nome di abate, e finalmente in tempo del sunnominato vescovo di Ales fra Lorenzo di Villa-Vincenzio, conceduta a’ minori osservanti nel 1580, che l’hanno abitata sino al presente.

Quando il fratismo fioriva in Sardegna erano in questo convento dieci o dodici sacerdoti con circa venti tra laici e terzini; poi cominciò a scemare il numero de’ sacerdoti, dove talvolta se ne trova un solo, tuttavolta restano ordinariamente quindici o più laici e terzini.