San Gavino Monreale – dal Dizionario Angius-Casalis

Agricoltura. Sono più di duecento persone che possedendo terreni esercitano l’agricoltura sopra i medesimi; degli altri che ho già compresi nel totale de’ coloni, alcuni fanno società con proprietarii di terre, o con altra persona che metta le spese del fitto del terreno, il rimanente de’ coloni lavora per mercede nei campi altrui.

Il territorio di s. Gavino è coltivato in circa tre quinti della sua superficie. In questa parte si comprendono ambe le vidazzoni in cui si alterna la seminagione, i chiusi (cungiaus), le vigne ed i terreni de’ novali (narboni) che nel 1845 furono divisi dalla strovina.
Le vigne comprendono un’area, che può computarsi di circa un miglio quadrato, cioè più di starelli 800.
I chiusi sono forse contenuti in una superficie maggiore. In essi si semina, e si introduce a pastura il bestiame di servigio, o manso.

I terreni, dove più, dove meno, sono atti ad ogni sorta di biade, e per produrre abbondantemente, basta che le pioggie vengano opportune, e che nel tempo della fioritura e maturazione de’ frutti, i seminati non patiscano la nebbia, principalmente quella così malefica che annulla le speranze de’ coloni in poche ore.

L’arte è poco illuminata, al che si aggiunge il difetto di volontà per fare ciò che potrebbe essere utile, e giovare agli interessi particolari. Si fa sempre quello che si è fatto dagli antichi, e nel modo stesso. Forse, se alcuno tra essi mostrasse nuove pratiche, e ne fosse evidente il successo e il vantaggio, cederebbe cotesta ostinazione. A questa però sarebbe necessario che il novatore fosse istruito nelle vere dottrine agrarie e nei metodi più proficui, il che si potrebbe ottenere facilmente mandando uno o più giovani in scuole pratiche di agricoltura a spese del prebendato o de’ principali, massime che la spesa sarebbe niente gravosa.

Il monte di soccorso, amministrato dal parroco, da un censore e da un depositario, ha un granajo di starelli 4800. Il monte nummario non è in stato egualmente buono con grave danno de’ coloni poveri, i quali devono farsi imprestare da usurai. Sarebbe certamente ben fatto se una parte di quella quantità di grano si vendesse, per aver a sufficienza per imprestare ai più bisognosi per le spese della messe.

Le terre delle due vidazzoni sono circa starelli 8 mila.

La seminagione ordinaria si computa di starelli 3,500 di grano, 500 d’orzo, 800 di fave, 200 di legumi, tra piselli, lenticchie, ec., di lino … in totale 5/m.
La comune fruttificazione del grano nelle annate scarse è al 7.plo, nelle annate mediocri al 10, nelle buone dal 12 al 15, nelle ottime al 20 e più. Il grano di Sangavino è molto stimato per il panificio.

L’orzo, le fave ed i legumi sogliono produrre di più. Il lino non prospera perchè il terreno non gli è propizio. Appena si possono avere 25/m. manipoli.
L’orticoltura si fa in pochi luoghi, la cui area può computarsi di starelli 15. Vi si coltivano molte specie insieme con le ficaje ed i meligranati. I melloni, sebbene non così voluminosi come altrove, sono di gusto delizioso.

La vigna produce mediocremente, ed ha dalle 25 alle 30 varietà d’uve.
Si fa molto vino comune dalle uve nere. Ne’ vini gentili, che per lo più si traggono dalle uve bianche, sono molto stimati la malvasìa, la vernaccia ed il moscato, perchè di soave gusto e di durata.

La quantità di vino comune e fino che distillasi per acquavite, non è maggiore del ventesimo del mosto, e più spesso minore. I Sangavinesi non pare che amino molto questo liquore, come potrebbe presumersi dall’umidità del clima.

I fruttiferi di quasi tutte le specie che si coltivano in Sardegna, vi allignano e producono buoni frutti, se non sieno guasti dalla nebbia. Ma perchè questo caso è frequente, o perchè i venti scuotendone ogni giorno una parte, ne lascia maturar pochi; però quei coloni si mostrano poco studiosi di accrescerne la coltura, la quale per tal causa è più ristretta, che ne’ paesi della montagna, cioè in Guspini, Arbus e Gonnosfanadiga.

Si hanno degli agrumi, ma producono poco per causa delle nebbie, e molto per la salsedine delle acque.

Sono coltivati circa 5,000 olivi dentro e fuori del-l’abitato, e si ha un prodotto considerevole; ma meglio assai di questa specie prosperano le ficaje, i peri di molte varietà, i meligrani e gli albicocchi.

Uno dei prodotti particolari di Sangavino è lo zafferano, che vi si coltivò in maggior quantità che in altre parti del regno, ed è molto stimato nel commercio. Dispiace però il notare che alcuni ne vanno smettendo la coltivazione. Se questa coltura sterilizza il terreno, si sa bene come fare per ingrassarlo. Il Fara nella sua corografia, dando un cenno del Giudicato (come erano appellati i grandi dipartimenti) del Colostrai, nota sopra Sangavino l’unico particolare dell’ottimo zafferano, che produceva questo territorio.

Trovasi ne’ tempi posteriori qualche documento di quanto fosse ampiamente distesa questa coltura.

I letamai che si formano ne’ cortili in tutto il corso dell’anno, si tolgono nel settembre per concimare le terre.

Si è detto che nei chiusi si soleva seminare e introdurre il bestiame a pastura; ora aggiungerò che i medesimi, come le vigne, sono cinti a siepe viva di fichi d’India, e che in molti di essi si lascia crescere il bosco.

Pastorizia. I pascoli delle terre incolte (su Strovina) sono sostanziosi, ma non molto abbondanti, massime se le pioggie si facciano desiderare. Se fossero chiusi il prodotto sarebbe certamente molto maggiore. In inverno e nella primavera tutto il territorio può parere una prateria, e porge largo nutrimento a cavalli, pecore e vacche.

In altri tempi la quantità del bestiame era assai più notevole, che sia nel presente, che si possono computare nel

Bestiame manso, buoi per l’agricoltura 718, vacche mannalite, o manse 30, cavalli 80, majali 120, giumenti 412;
Bestiame rude, vacche 1040, tori, vitelli e vitelle 340, cavalle 300, capre 1500, porci 1200, pecore 7000.
I buoi servono anche a carreggiare, perchè generalmente chi ha buoi e carro vettureggia all’occasione.
I cavalli portano la sella e il basto con carico di cereali, di stoviglie e di bosco per venderlo in quei paesi, dove se ne abbia bisogno.
I giumenti servono per la macinazione del grano, non avendosi che un solo molino idraulico, il quale lavora quando possa avere il moto da una sufficiente corrente.

I pastori vagano per le terre incolte esposti a tutte le inclemenze atmosferiche perchè non fermandosi in nessuna parte non possono ripararsi in alcuna capanna, epperò sono fortunati sempre che possano trovare un albero frondoso che li protegga dalla pioggia o dal sole.

Mancando i pascoli per la lunga siccità gli armenti e le greggie devono diminuire. V’ha in altro caso altra causa di mortalità nelle pecore, quando il pastore non sia ben vigilante per impedir loro di dissetarsi sitibonde nelle acque limacciose de’ pantani. Quell’umor venefico cagiona in esse una tal malattia, per cui gonfiansi nella testa e nel collo e presto soccombono. È pure del veleno nelle erbe de’ pantani che si prosciugano dal sole estivo, e molte di quelle che si pascono di quella verdura periscono.

Le vacche scemano pure per la malattia del penfigo, che appellano comunemente su mali dessa figu. Questo morbo che attacca una gamba apparisce prima ne’ vitelli, e diventa contagioso, se non si rimedi tempestivamente. A tal fine rinchiudesi l’armento in un serraglio e si profumano gli animali, facendo intorno de’ fuochi con legno di fichi silvestri per tre o quattro giorni.

I formaggi sono di poca bontà e marciscono presto. Notasi nella manipolazione l’eccesso del quaglio e il difetto di compressione. Ordinariamente si vendono a’ negozianti di Cagliari.

Una parte delle pelli e cuoja si concia nel paese, ma sia per la qualità dell’acqua, sia, come è più probabile perchè non si sa l’arte, la manifattura è poco stimata.

In ogni cortile mantienesi un buon numero di pollame, galline comuni e piccioni.

L’apicultura si pratica da pochissimi e il numero degli alveari di poco sopravanza il migliajo.