Io credo che i bambini (insieme alle categorie più fragili della nostra società) dovrebbero avere la precedenza su tutto, perché ne va della loro salute, fisica e mentale, nel breve e nel lungo termine.
Non imporre un lockdown ai bambini significa, di fatto, accettare di imporlo ad altre categorie e sacrificare maggiormente l’aspetto economico, pur di salvare l’infanzia e la salute fisica e mentale dei bambini. Vi sembra poco? Vogliamo mettere l’assoluta serietà con cui si pone il problema dell’infanzia, rispetto a quella, così discussa in questi tempi, di aprire o meno le discoteche d’estate? Ora, certamente le discoteche rappresentano un estremo, e non si vuole togliere nulla in dignità a tante attività colpite dal lockdown parziale (bar, ristoranti, negozi, teatri, ecc.), ma il punto è un altro: chiudendo certe attività economiche, non si compromette la salute di nessuno. Chiudendo la scuola, invece, sì, quella di una delle categorie più delicate in assoluto: i bambini.
Salvare l’infanzia significa chiudere tutto il resto pur di non chiudere le scuole dell’infanzia e quelle primarie, significa dare un supporto esterno alle famiglie (che a loro volta possono avere problemi di vario genere: aver perso il lavoro, avere problemi di salute, lavorare nell’ambito della sanità, ecc.). Significa garantire continuità e stabilità ai bambini, non abbandonarli nel momento in cui essi hanno maggior bisogno di supporto per la loro crescita, intellettiva, psicologica, sociale, fisica.
Significa riorganizzare davvero le scuole, le aule, le classi, gli spazi, dando la priorità a gruppi piccoli di alunni, evitando il più possibile i contatti all’interno di un numero troppo grande di persone. Ventilare gli ambienti, effettuare importanti ricambi dell’aria ogni ora, limitare il tempo in cui si sta a contatto in un ambiente chiuso, pur di eliminare del tutto la scuola. Va bene anche ridurre il numero delle ore, pur di non chiudere la scuola indiscriminatamente. Significa usare le mascherine anche in classe, privilegiare le attività all’aperto laddove possibile, insegnare ai bambini il contatto umano senza quello fisico, imparare nuove regole. Tutto, pur di non costringere i bambini a stare a casa con i genitori per lunghi periodi, con tutte le conseguenze negative che questo comporta.
Significa vigilare suoi sintomi e questo è facilitato dai piccoli gruppi dove i contatti sono sempre gli stessi e quindi eventuali contagi più facilmente gestibili. Significa imporre quarantene a gruppi più ridotti di persone, quindi a meno famiglie. Questo è agire per il bene di tutti e non a casaccio. Cambiare il modo di intendere la scuola significa considerarla una delle strutture portanti della società, senza la quale tutto sgretola, compresa l’economia. Classi piccole significa assumere più insegnanti e, guarda caso, c’è un mare di persone che aspetta invano l’incarico!
Ad alcuni – specie a chi non ha figli? – le mie considerazioni potranno sembrare discutibili e arbitrarie, ma io la vedo così: i soldi vanno e vengono, l’economia va giù e va su, dopo un collasso ci sarà pure, prima o poi, una risalita. Non siamo un paese devastato dalla miseria, ma tra i paesi più ricchi del mondo e ciò che ci manda avanti, udite udite, non è la nostra efficienza economica, ma la nostra cultura, che è qualcosa di ben più ampio e complesso, sono i nostri saperi, che partono dalla scuola e continuano con l’università e la ricerca. Tutta la nostra vita, gli oggetti che utilizziamo, le cose che sappiamo e che possiamo fare, hanno le radici lì, non nei soldi, ma nella scuola.
Mamma Giovanna