“Oltre i ventisette reami, nel trentesimo regno”. Questo é il modo in cui, nelle fiabe russe, viene introdotto il territorio ove si nasconde il famoso “uccello di fuoco”, la terra dominata dal diabolico gigante-non morto Koščej (un vero e proprio lich con tanto di uovo-filatterio ove custodisce la sua anima), la landa per la quale la Baba Jaga si muove a bordo della propria casetta dalle zampe di gallina, il luogo dove pascolano i cavalli magici e i contadini scemi diventano zar.
Nello stesso modo all’autrice piace definire anche il mondo fantasy che ha inventato, anche se poco ha a che vedere con la favolistica russa. Ha immaginato un’Eurasia preistorica, si è spinta fino alle sue estreme propaggini settentrionali e ha fantasticato su come gli antichi popoli vivessero la loro esistenza primitiva, secondo i ritmi eterni della terra, guidati da un atavici culti sciamanici. I mortali e gli Immortali nel suo mondo convivono apertamente nelle stesse tribù, e spesso sotto lo stesso tetto, anche se ci sono i primi, atroci segni delle future divisioni tra stirpi “elfiche” e “umane”.
I suoi protagonisti appartengono alla stirpe degli immortali, dei Qvanmujas, e il lungo contorto cammino delle loro secolari esistenze si svilupperà tra guerre e selvaggi riti orgiastici, esaltazione mistica e vertiginose cadute nei più profondi abissi infernali.
In questo romanzo l’autrice ha profuso tutto il suo amore per le leggende slave e antico-nordiche e sarà ben felice se qualcuno vorrà condividere parte del suo immaginario.
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