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Arbus, i segreti del Museo “Antonio Corda – Arti e Mestieri antichi della Sardegna” e del suo fondatore

In quest’intervista parleremo del museo “Antonio Corda – Arti e Mestieri antichi della Sardegna”, ma soprattutto parleremo della vita del proprietario. Antonio Corda è nato ad Arbus il giorno 11 giugno del 1939.

Cosa ricorda del primo decennio della sua vita?

Non ricordo granché di quel periodo. Ricordo però che all’età di 4/5 anni mia madre si ammalò e la ricordo sempre allettata. Quando poi morì io avevo appena 5 anni. Avevo un fratellino che si chiamava Italo che è deceduto all’età di 4 anni a causa del tetano. Ricordo un particolare episodio: il giorno che morì mia madre per distogliermi dall’atmosfera triste che si era creata, mi mandarono a comprare la conserva in un negozio di Arbus, dalla signora Giulia Schirru, in Via Senatore Garau. Non ricordo altro di quel periodo. Dopo la morte di mia madre, prete Lampis che era fratello di mia nonna, mi fece ospitare in un collegio maschile delle suore francesi a Cagliari, coincidenza volle in Via Giardini, io sono nato ad Arbus in Via Giardini, 17 e sempre per coincidenza il museo che ho realizzato si trova, sempre ad Arbus, in Via Giardini al n. 1.

Com’era Via Giardini quando aveva 5 anni?

Ricordo che la strada non era asfaltata. Le fogne erano a cielo aperto, prova ne sia che mio fratellino Italo, più piccolo di me di due anni, si ammalò di tetano perché in quel periodo si giocava a fare delle vaschette con l’acqua delle fogne e, probabilmente, per un’infezione, dopo qualche tempo, morì.

Via Giardini era una strada sterrata ma lo era anche la via principale

Vorrei collegarmi ancora alla Via Giardini, ricordando un particolare episodio. In quel periodo, (1944), veniva assegnata alle famiglie una tessera per poter acquistare gli alimenti e mi trovai a subire un arresto all’età di 5 anni. Questo perché una famiglia del paese denunciò lo smarrimento della tessera annonaria (La tessera era personale e non cedibile, dava diritto all’acquisto di generi alimentari differenziati a seconda dell’età e consistenza familiare: provvedeva al rilascio l’ufficio annonario del comune di residenza. I generi alimentari dovevano essere prenotati in giorni prestabiliti presso i negozi, e ne era vietato il commercio in qualunque altra forma). I genitori di un mio compagno di giochi, coetaneo, accusarono me d’aver preso la tessera. Per questo motivo, ricordo che un pomeriggio arrivarono a casa mia i carabinieri e quando mio fratellino li vide arrivare si nascose nella mansarda, spaventatissimo. Io venni preso, invece, da un carabiniere che con una bacchetta mi intimava di seguirlo in caserma. Infatti, mi portò nella caserma di Via Senatore Garau ad Arbus. In caserma trovai anche il mio compagno d’avventura. Ricordo che mio padre quel giorno non era a casa perché impegnato in campagna in quanto faceva il contadino. Quando rientrò, non trovandomi si preoccupò ed i vicini gli descrissero cos’era successo. Mio padre si recò in caserma intorno alle 10 di sera e dopo una chiacchierata con i carabinieri mi liberarono. Ricordo che In caserma ci misero in due stanze (celle) separate dove c’erano sacchi di fave e carruba per i cavalli. Insomma, ci trattarono come veri carcerati.

…Ma l’accusa in sostanza qual era?

Ero stato accusato di aver rubato la tessera annonaria di una famiglia.

…e in carcere finì anche il suo amico…

Certo, perché ci accusavamo a vicenda del furto. Io in realtà non avevo mai visto né toccato la tessera. Non so se in seguito la tessera venne trovata, magari all’interno della stessa famiglia che ci aveva accusato d’averla rubata. Dopo questo curioso episodio si verificò prima la morte di mio fratellino e poi quella di mia madre. Come già detto, grazie al supporto del parente sacerdote Lampis, venni ospitato in collegio a Cagliari dalle suore di un ordine francese. Suore che giravano per i paesi a fare la questua per procurare cibo per gli orfanelli che ospitavano, e ad Arbus si appoggiavano alla casa del Sacerdote (prete) Lampis. All’interno di questo collegio sono rimasto due anni. Lì sono stato cresimato. Poi, siccome mio padre si era risposato con una signorina di Guspini, Rosina Cocco, che ricordo bene e con la quale andavo d’accordo, sono rientrato in famiglia ad Arbus. Tengo a precisare che io oltre ad un fratellino ho anche una sorella, più giovane di me di 4 anni, Maria Rosaria, e quando è deceduta mia madre aveva 4 anni ed anche lei venne ospitata in un Istituto di suore a Terralba. Anche mia sorella dopo un po’ di tempo rientrò ad Arbus, in famiglia. Pertanto, la nuova famiglia, era composta da: mio padre Luigino, mia matrigna Rosina Cocco, mia sorella Maria Rosaria ed io.

Le scuole dove le ha frequentate?

La prima elementare l’ho frequentata ad Arbus col maestro Saiu, che era anche un assicuratore. Lui purtroppo mi bocciò.

In collegio frequentai la seconda elementare. Invece la terza e la quarta le frequentai ad Arbus col maestro Pruna. Per la quinta elementare ebbi il maestro Arturo Vacca che poi nel corso dell’anno scolastico venne sostituito dalla moglie.

Come erano gli insegnanti? Tranquilli? Severi?

Il maestro Pruna era molto severo. Ricordo che per punirci ci faceva allungare le braccia mettere le mani sul banco e ci dava delle bacchettate sulle mani. Ho frequentato le scuole medie a San Gavino Monreale nelle scuole vescovili: Beata Vergine della Speranza, di Mons. Antonio Tedde. Dopo le medie il Vescovo Antonio Tedde istituì a Guspini un corso di istituto di scuola media superiore: per ragionieri e geometri. Io mi iscrissi al corso di ragioneria. Il corso per geometri non si concretizzò perché non raggiunse un numero sufficiente di iscritti. A Guspini, nella mia classe eravamo in 14, ma siccome la scuola non venne parificata ci obbligarono a dare l’esame di abilitazione a Cagliari, al Riva. Eravamo in 14 e ci bocciarono tutti. Evidentemente a Guspini non ci avevano preparato abbastanza. A questo punto mio padre mi diede l’opportunità di frequentare la ragioneria nell’istituto Tecnico Commerciale Pietro Martini, a Cagliari, ed al Martini, in Via Sant’Eusebio, mi sono diplomato in ragioneria. Dopo il diploma ho vissuto ad Arbus in cerca di lavoro, ma, dopo due anni di attesa ho deciso di emigrare. Quindi anch’io ho vissuto l’esperienza dell’emigrante a Torino. A Torino sono rimasto dieci anni. Partito nel settembre del 1962 e rientrato nel settembre del 1972.

A Torino ho vissuto la migliore esperienza della mia vita, della mia gioventù.

Carro utilizzato nel lavoro agricolo

Perché non ha deciso di restare a Torino?

A Torino mi sono travato bene. Ho incontrato i migliori amici della mia vita. Quasi tutti piemontesi, ma anche qualche meridionale e siciliano. Dovetti subire un intervento di ernia inguinale e un carissimo amico piemontese, Antonio Musso, mi ospitò durante il periodo di convalescenza, in un suo appartamento in zona di Ivrea, perché lavorava come ingegnere all’Olivetti.

Lavorai per un periodo brevissimo, circa 4 mesi, in un Consorzio montano dell’alto Canavese ed ebbi un ruolo di principiante: in quel periodo non sapevo scrivere neppure a macchina anche perché all’Istituto Martini non c’erano ancora le macchine da scrivere. Facevo lavori di segreteria. A dicembre, in occasione del Natale, ritornai in Sardegna. Per le vacanze di Natale. Dopo rientrai a Torino. Partecipai a dei corsi organizzati da un’associazione di categoria, la CNA di Torino. Lì, siccome compilavano le dichiarazioni dei redditi per gli associati, selezionarono 30 diplomati in ragioneria, per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi. Al termine della campagna fecero la selezione e scelsero tre persone fra le quali me. In questa associazione fui inserito nel settore dei tributi, parte fiscale ed adempimenti presso i vari uffici: Camera di Commercio, Intendenza di Finanza e Comune di Torino, per i Tributi locali.

Nel frattempo a Torino e dintorni ebbi la richiesta da alcuni associati di poterli assistere anche in sede per le loro esigenze di contabilità. Quindi mi feci un numero di clienti, nulla rubandoli all’Associazione, poiché erano lavori che l’Associazione non offriva ai propri iscritti. Quindi dopo il lavoro ordinario all’interno della CNA facevo il lavoro straordinario presso le aziende dei clienti che me lo avevano chiesto. A un certo punto mi son fatto un buon numero di clienti e mi sono dimesso dall’Associazione, aprendo uno studio professionale autonomo.

 Avevo fatto i miei calcoli. Il mio capo ufficio dell’Ufficio Tributario, Avvocato calabrese e un altro impiegato, pugliese, anche lui laureato in leggi, che svolgeva altre pratiche amministrative e fiscali, mi dissero che ero pazzo a fare questo passo. Risposi che ero consapevole del passo che stavo facendo e dei rischi che si potevano correre. Mi sono aperto uno studio a Torino, però avevo clienti anche nei paesi vicini e nel canavesano. Evidentemente questi clienti che erano soci della CNA mi avevano preso in simpatia e mi affidavano incarichi supplementari che l’Associazione non svolgeva. In questo lasso di tempo però io frequentavo anche corsi serali di dattilografia e in più ho frequentato due studi professionali di cui uno di consulenza del lavoro e l’altro di commercialista e frequentando questi Studi mi sono abilitato Consulente del lavoro. Siccome l’Associazione era priva di un Consulente del lavoro mi diedero l’incarico di gestire il settore delle paghe e della consulenza del lavoro. Coordinavo e controllavo il lavoro di oltre trenta persone, per la preparazione delle buste paga e i rapporti di lavoro degli associati dell’Associazione con Enti vari. Insomma, venni ulteriormente responsabilizzato e in più siccome avevo fatto esperienza nel campo tributario e fiscale fui anche incaricato dall’Associazione di andare al comune di Torino per fare i famosi concordati delle imposte di famiglia. Andavo a fare anche i concordati dell’IGE, ed adempimenti vari dell’imposta di registro. Ancora non c’era l’IVA, che è stata istituita nel 1972.

A Torino sono stato 10 anni, arrivato a 23 e rientrato in Sardegna a 33 anni.

Riflettendo sullo stare a Torino o rientrare in Sardegna, poiché mi rendevo conto che mi stavo radicando, cominciai a pensare se mi convenisse continuare a stare a Torino dove ormai ero abbastanza conosciuto, oppure tornare in Sardegna, e rincominciare daccapo. Consultai i miei amici – Maestri professionisti) che mi avevano consentito di fare il tirocinio di praticante e poter prendere l’abilitazione di consulente del lavoro e svolgere anche il praticantato di commercialista. Sentii anche il parere dei miei clienti ai quali dissi che era mia intenzione rientrare in Sardegna e che comunque se avessi deciso di rimanere in Sardegna li avrei affidati ai miei maestri.

Rientrando in Sardegna non sentii l’esigenza di tornare a Torino e quindi i clienti vennero acquisiti dai miei maestri. Nel 1972, con l’istituzione dell’IVA aprii contemporaneamente lo studio sia a Cagliari che ad Arbus. Ad Arbus aprii lo studio all’inizio di Via Senatore Garau e poi lo trasferii  in Via Repubblica, quasi di fronte alla chiesa di San Sebastiano. A Cagliari per aprire lo studio mi avvalsi della collaborazione di un ex compagno di scuola che nel periodo transitorio, in cui viaggiavo da Cagliari a Torino e viceversa: stava acquisendo i clienti di Cagliari ed Arbus. Ricordo che feci tanta pubblicità per l’apertura dello studio a Cagliari in via Costa, 18.

Area dedicata al mestiere del falegname

Ha qualche ricordo particolare della vita trascorsa a Torino?

Ricordo che andavo a sciare. Avevo partecipato a diverse gare di sci e una, addirittura la vinsi. Periodicamente, d’inverno si andava a sciare. Andavamo in pullman con gruppi organizzati. In particolare con il gruppo “Cavallo di bronzo” che io frequentavo parecchio, per tutte le manifestazioni, oltre che andare a sciare. Ho frequentato anche il Circolo degli emigrati sardi sempre a Torino, il “Circolo dei quattro mori”. Il cappellano di questo circolo era Padre Mameli al quale due o tre volte ho dato un passaggio da Torino a Cagliari con la mia 500. In realtà avevo due 500. Una la tenevo a Cagliari e l’altra a Torino. Mi piaceva partecipare a delle escursioni. Frequentavo vari gruppi: mi piaceva vivere in società.

L’Università l’aveva conclusa poi?

No, mi iscrissi anche all’Università, in economia e commercio, anche a Torino, ma  a causa degli impegni di lavoro diedi solo un esame: in geografia. Mi sarebbe comunque piaciuto laurearmi perché mi avrebbe dato altri titoli oltre a quello di dottore. In quel periodo l’obiettivo principale era di lavorare, sempre più e sempre meglio, quindi l’università era marginale. Per cinquant’anni e più ho tenuto due Studi uno a Cagliari e l’altro ad Arbus, ma dal mese di maggio 2023 non esercito più né come commercialista né come consulente del lavoro. Sono in pensione da 15 anni, ma l’attività come libero professionista l’ho esercitata fino a poco tempo fa

Com’è nata l’idea di realizzare un museo nel suo paese?

L’idea è nata forse in modo casuale. Fra i clienti che avevo c’era anche una farmacista, titolare della farmacia di Arbus, del Dott. Floris, di Fluminimaggiore, che aveva acquisito la farmacia di Dott. Gino Pisano, ad Arbus. Purtroppo, il Dott. Floris morì e la vedova si trovò costretta a far gestire la propria farmacia concedendola a terze persone perché nella sua famiglia nessuno aveva i requisiti per gestirla in proprio. Affidò la direzione della farmacia alla Dottoressa Silvana Corrias. Alla fine la dottoressa Corrias rilevò la farmacia della vedova Floris, la signora Graziella Carta.

 I Floris, nel frattempo, avevano acquistato, dagli eredi Lampis, la casa di Via Giardini, 1, quella dove un giorno sarebbe nato il museo.

La casa era diroccata, fatiscente, dal piano terra al tetto praticamente si vedeva la luce. Era veramente mal messa, in pessimo stato di conservazione e manutenzione. Umidità in tutte le pareti, una casa veramente dissestata e pericolante. Siccome il volume dell’immobile era molto grande, la Municipalità di Arbus adocchiò questo spazio per realizzare dei parcheggi. Quindi, la Dottoressa, vedova Floris, per evitare che venisse espropriata presentò dei progetti per realizzare tre villini. Però la casa era sempre in una situazione di costante degrado e la mise in vendita. Per due o tre anni affidò anche a me il compito di vendere a terzi questa struttura. Poi, ad un certo punto, la casa vecchia, ampia, con strutture antiche, mi ha conquistato e mi è venuta l’idea di acquisirla, per mantenere la memoria storica del caseggiato.

Reperti del lavoro agricolo

Aveva già l’idea di realizzare un museo in quella struttura?

No, non esisteva ancora l’idea del museo, però c’era la volontà ed il desiderio di proteggere la struttura dalla demolizione per realizzarvi dei parcheggi. Mi sembrava una cosa assurda che una simile costruzione venisse rasa al suolo. Piano piano, all’dea del recupero, subentrò quella di darle nuova vita e destinazione. Non aveva senso acquistare una casa senza la prospettiva di un progetto da realizzare. L’idea dominante era quella di mantenere integra la struttura che mi faceva ricordare le case di possidenti arburesi e quindi mantenere la storia di questa struttura e proteggerla. In quel contesto mi venne anche l’idea di realizzare una casa per conservare i reperti antichi, soprattutto del settore agro-pastorale; pensavo spesso all’attività di mio padre: pastore-contadino-macellaio commerciante.

Di quale periodo stiamo parlando?

Di circa tenta anni fa.

Io, per sicurezza, perché la struttura non venisse acquista o espropriata dal Comune, per realizzare i parcheggi, inoltrai una domanda all’Ufficio tecnico comunale di Arbus, per il restauro di quest’immobile e la destinazione però non la misi.

In quel periodo come Sindaco c’era Giancarlo Pusceddu. Ad Arbus sono stato anche Consigliere comunale di minoranza quando sindaco era appunto Giancarlo Pusceddu. L’Ufficio Tecnico comunale mi diede l’autorizzazione per il restauro dell’immobile e in quell’occasione dichiarai che era mia intenzione realizzare una casa museo.

Dopo aver studiato le caratteristiche che regolano i musei la “casa museo” diventò “museo etnografico” ed oggi è diventata:

“Museo Antonio Corda – Arti e Mestieri Antichi della Sardegna”.

Un conto è restaurare e conservare un immobile storico e un conto è trasformarlo in Museo. Cioè il museo va riempito…come si fa?

Certamente acquisita la casa bisognava riempirla.Avvalendomi di conoscenze, ed in particolare di un caro amico ingegnere, che prima di me aveva coltivato la raccolta di reperti e che mi ha guidato alla raccolta dei reperti stessi. Lui raccoglieva oggetti di diversa tipologia, io invece, in particolare, mi ero concentrato sulla ricerca e raccolta di oggetti relativi all’agricoltura, alla pastorizia ed alle arti e mestieri antichi. In un primo momento ho raccolto questi oggetti, cosi li chiamavo prima di chiamarli reperti. Un giorno, dopo aver raccolto diversi oggetti ebbi l’opportunità di far visitare la raccolta dalla professoressa Enrica Delitala, una professoressa universitaria, antropologa famosa che ha scritto diversi testi, collega di Giulia Angioni e della Professoressa Giannetta Murru Corriga, dello stesso dipartimento universitario. Un giorno andai dal Prof. Giulio Angioni e gli mostrai le foto dei reperti: si meravigliò della quantità e qualità dei reperti che avevo raccolto.

La custodia e raccolta dei reperti, inizialmente li sistemai nell’immobile in via Giardini, 17, che avevo acquistato una volta rientrato da Torino e che utilizzai anche come Studio al piano terra, ed abitazione ai piani superiori. Una parte dell’immobile era di proprietà dei miei parenti da cui comprai le quote, poi acquistai un altro edificio confinante, già appartenuto alla sorella di mio nonno SCHIRRU.

In via Giardini 17, al primo e secondo piano accatastavo tutti i reperti che recuperavo, da diverse parti della Sardegna, da destinare al Museo, che, piano piano stava prendendo forma e funzionalità…

I reperti le venivano regalati?

Purtroppo no! … li ho tutti comprati, solo una piccolissima parte mi è stata donata da qualche parente ed amico…

Quindi la sua è stata ed è una fortissima passione…

 Si…mi sono visto come un drogato…  Credo che tutti i collezionisti, in fondo, si sentano come drogati, pur di acquisire ed accaparrarsi “l’oggetto/reperto” che desiderano. La scelta dei reperti era comunque sempre mirata, non veniva fatta a caso. Gli oggetti, dovevano essere curati, puliti. Qualche volta però ho preso oggetti molto rovinati che poi mi sono dedicato a restaurare perché li trovavo comunque interessanti e per me avevano un significato di “vita vissuta”. Non mi vergogno di dire che ho acquistato anche “sciveddas” (bacinelle di terra cotta) che erano state riparate, dopo una rottura, da esperti artigiani. Erano soprattutto artigiani che venivano da Pabillonis e giravano per le strade dei comuni vicini per riparare con dei pezzi di ferro questi oggetti in terracotta i cosiddetti “acconcia sciveddas”. Queste “sciveddas”, riparate, per me rappresentavano oggetti di vita vissuta ed avevano un fascino speciale, perché mi facevano pensare alla povera massaia che non poteva preparare il pane per la famiglia, perché le mancava lo strumento principale per poter impastare… Ho comprato anche corbule “crobis” fatiscenti e invecchiate, le ho comprate di proposito per dare significato al vissuto di quell’oggetto. I nostri antenati in effetti compravano gli oggetti nuovi ma poi li riparavano in continuazione e li continuavano ad usare. Prima non c’era la mentalità del prodotto, usa e getta, ma vigeva lo spirito della conservazione e del recupero e del riuso. Infatti, all’interno del museo ci sono questi oggetti, che rappresentano la vita vissuta.

Un museo che ha una superfice enorme, molto vasta…

Una parte, quella che si trova a destra, entrando dal portico, l’ho comprata dagli eredi Floris e la seconda, entrando nella corte, a sinistra, l’ho acquistata dalla famiglia di Giuseppe Caddeo. In origine, però, questi due blocchi di casa, facevano parte di un unico caseggiato, di proprietà della famiglia Lampis che evidentemente vendette l’immobile separatamente. La famiglia Lampis costruì la struttura per donarla in dote al figlio che si doveva sposare. Questa struttura, nel passato, anni 50/60 del secolo scorso, venne abitata da più famiglie, infatti, nelle pareti perimetrali del cortile, nei vari ingressi ci sono i numeri civici interni. Ci hanno abitato tre o quattro nuclei familiari.

Quali sono state le fasi di allestimento del museo?

La struttura del museo ha avuto diverse stratificazioni di intervento architettonico e anche di allestimento perché in un primo momento mi rivolsi all’architetto Augusto Garau di Gonnosfanadiga con studio a Cagliari, che aveva dato una prima impronta di allestimento del museo; successivamente, non soddisfatto di come era stato progettato questo allestimento che non aveva tenuto conto degli oggetti da sistemare, mi rivolsi al Dott. Roberto Concas, Storico dell’Arte, ed ex direttore dei Musei civici di Cagliari e ad una società che Lui gestiva con il figlio. Dott. Roberto Concas diede una nuova traccia di allestimento. Però, anche questa forma di allestimento, sebbene ci avessi messo anche degli oggetti che poi la Soprintendenza di Cagliari-Oristano ha definito reperti, non mi soddisfò. Presi contatto, poi, con la Professoressa Murru Corriga, Antropologa e lei mi diede dei supporti che si accostavano al mio sentimento e all’indirizzo che volevo dare museo: più affine alla visione di come vedevo il mio futuro museo. L’impostazione di allestimento del museo, suggeritomi dalla Murru-Corriga era proprio quella che io intendevo. Rivolgendomi, poi, ad una Cooperativa – Villa Silli, di Siddi, ad essi ho esposto la mia esigenza di dare integrazione, secondo le indicazioni della Murru Corriga, all’allestimento proposto dal dott. Concas. Con la Cooperativa abbiamo dato l’impronta definitiva, attuale, al museo.

Con l’allestimento iniziale vedevo gli oggetti rappresentati in un modo astratto…non parlavano…invece con la collaborazione di Villa Silli abbiamo fatto in modo che questi oggetti parlassero e riuscissero a comunicare all’esterno la loro funzionalità ed anche la vita vissuta.  Ed infatti, l’allestimento definitivo è quello che viene presentato oggi e che a mio avviso riesce a comunicare con l’esterno e con la comunità, dove vengono ben rappresentati i vari mestieri, allestiti all’interno delle varie stanze e anche nel cortile, nel passo carraio e, comunque, nella fase di descrizione che farà la guida del museo, rappresentando oltre 50 mestieri, con oltre 2500 reperti, all’interno della struttura museale. I reperti, appunto, sono più di 2500 pezzi, tutti diversi, ma sovrapponibili per tipologia. Tanti elementi diversi, ma allo stesso tempo, molti sovrapponibili per destinazione, ma tutti diversi fra loro per lavorazione.

 I reperti non rappresentano il Comune di Arbus o i Comuni viciniori ma rappresentano produzioni e/o lavorazioni di tutta la Sardegna. Ad esempio abbiamo due carri, uno a ruota piena ed uno a raggi. I carri a ruota piena sono tipici della Barbagia e troviamo un esemplare al primo piano del museo mentre quello a ruote a raggi, tipico del Campidano, lo troviamo nel cortile.

Quanto è vasta la superficie del museo?

La superficie del museo è di oltre 600 metri quadri. All’interno della struttura abbiamo degli spazi dedicati nell’esposizione dei reperti, nelle varie stanze. Al piano terra abbiamo la zona della ricezione r book shop. La sala del banditore, del sarto, del pastore, del macellaio, dieci casse sarde e il lavoro della massaia, dove c’è il forno e il caminetto. Abbiamo poi una zona dedicata alla ristorazione con il bar ed una piccola sala per le proiezioni, utilizzata anche per i convegni, presentazione di libri o altro uso o necessità.  Il primo piano lo abbiamo dedicato alla tessitura, all’intreccio, al calzolaio, al fabbro, al falegname, al lavoro agricolo, ed una piccola zona è stata dedicata al lavoro nelle miniere, un’altra al commercio: battezzata pesi e misure; in essa sono rappresentate diverse unità di misura, in ferro, in metallo, in sughero e anche in legno; fra le quali c’è anche un attrezzo di misura, “su cubeddu” che è un’unità di misura particolare, utilizzata per i cereali.

Abbiamo riservato all’ultimo piano una sala per le esposizioni, allestita da Dott. Roberto Concas e libera da reperti, esclusivamente destinata a mostre temporanee. Attualmente è presente una mostra dell’artista Roberto Meloni di Gonnosfanadiga che sta riscuotendo notevole successo. All’ultimo piano abbiamo anche la biblioteca abbastanza interessante. Ho allestito tre armadi dove sono stati sistemati diversi libri e testi di autori arburesi, di testi che trattano dei vari mestieri rappresentai anche nelle sale del museo. Al primo piano abbiamo, nell’ala nuova, un deposito dove ci sono ulteriori reperti che non hanno trovato spazio nelle sale espositive. Abbiamo anche un allestimento nel cortile dedicato all’attività agricola: il vignaiolo e l’imballaggio del fieno. Inoltre, abbiamo l’attività del sellaio ed una macchina per fare le candele, le famose “stiaricas”. Abbiamo inoltre realizzato uno scantinato, scavando nella roccia e utilizzato per laboratorio. Ed ancora abbiamo realizzato un servizio peri diversamente abili e ad essi abbiamo destinato anche l’ascensore.

La decisione di fare tutto da solo, immagino le sia costato un sacrificio enorme, sia in termini finanziari, sia in termini di tempo, di ricerca…questo per il passato e il presente…Per il futuro sarà necessario far funzionare in modo adeguato il museo…serviranno delle guide per esempio…Può un museo continuare solo con il sacrificio del proprietario che lo ha realizzato? Oppure bisognerà allargare il campo dando la possibilità di migliorarlo ulteriormente per esempio attraverso la costituzione di una fondazione?

Innanzitutto devo precisare una cosa, cioè perché ho fatto quest’opera. Ho voluto dare un contributo alla Comunità arburese, fare un regalo agli arburesi e alla Comunità in generale. Mi sono reso conto fin dall’inizio che questa struttura una volta realizzata per un mio desiderio, è di difficile gestione e pertanto fin da tre consiliature ho proposto agli Amministratori locali che si sono susseguiti, di costituire una fondazione partecipata. Stranamente e non riesco a capire il perché, forse per ignoranza delle norme vigenti, non hanno mai aderito alla mia proposta. Una proposta dove io, cittadino arburese, do alla Comunità tutto l’insieme, spogliandomi completamente della struttura e dei beni in essa custoditi. Non ho capito e non riesco a capire la motivazione della mancata adesione. Ho fatto la stesa proposta però ad altre entità e mi stanno manifestato la volontà e il piacere di aderire.

Dunque le amministrazioni comunali di Arbus che si sono succedute nel tempo non hanno risposto all’iniziativa…Lei ha fatto un sacrificio di trent’anni per regalare una cosa importante agli arburesi ma sembrerebbe ci sia scarso interesse anche da parte dell’attuale amministrazione comunale per costituire una fondazione…

In effetti sono passati trent’anni e per me realizzare il museo è stato oltre che una passione ed un desiderio, un grande sacrificio.

Quanto ha investito dal punto di vista monetario per il museo?

A partire dall’acquisto dell’immobile, della sua ristrutturazione, dall’acquisizione dell’altro fabbricato, e dall’insieme, con tutti i reperti che ci sono, c’è un valore di oltre due milioni di euro. Con la costituzione della fondazione non solo cederei il bene ma interverrei anche, in seguito, per costituire il fondo di dotazione della fondazione stessa, con ulteriori 30.000 euro…

Può dirci che spiegazione hanno dato le diverse amministrazioni alla sua proposta di costituire una fondazione?

Non mi hanno dato una risposta sebbene abbia presentato la proposta a tre amministrazioni. Con la penultima Amministrazione sono andato in Comune, ed alla presenza del Sindaco, Vicesindaco e Assessore alla cultura, oltre al responsabile dell’Ufficio ragioneria Dott. Saderi ed al Revisore, ho presentato il bilancio ed il mio progetto. Dissi loro se intendessero aderire alla costituzione della Fondazione.

Li invitai anche a visitare la struttura, vennero, e rimasero sbalorditi di ciò che avevano visto, però, in conclusione, ad oggi non ho avuto alcuna risposta. Ho visto una bozza di delibera che parlava, appunto, della adesione alla Fondazione, però sinceramente ad oggi non ho avuto risposte. Mi meraviglia perché alla fine che costo dovrebbe sopportare l’amministrazione per questa gestione? Zero. Gli oneri di gestione se li accolla la fondazione stessa ed il Suo fondatore. Loro hanno aderito al Cammino di Santa Barbara, hanno aderito alla fondazione Giuseppe Dessì con una quota di poco più di mille euro…

È mio intendimento, vista l’apatia nei confronti della mia proposta, indire un’Assemblea pubblica e chiedere alla Comunità se vorrà aderire alla fondazione stessa.

La cosa che non ho detto è che io nel frattempo ho coinvolto la Soprintendenza di Cagliari-Oristano, li ho invitati a visitare il museo; ho fatto vedere loro i reperti e loro hanno apprezzato la mia raccolta e mi hanno rilasciato tre decreti di riconoscimento di beni storico-artistico e culturale. Credo, come anche da Loro detto, che sia l’unico museo privato in Sardegna con tre riconoscimenti. Nel museo ci sono 155 pezzi del settore agricolo, vincolato, il settore della tessitura, 98 reperti vincolati, e il settore delle casse sarde (10) con le varie tipologie di lavorazione. E quindi avendo questi riconoscimenti il museo acquisisce maggior valore. C’è poi tutta una procedura burocratica perché venga accreditato come Museo della Regione Sardegna. Il fatto di avere questi riconoscimenti ministeriali rappresenta un valore aggiunto per il museo stesso. È, comunque, il riconoscimento che il lavoro che ho fatto è un lavoro valido.

Che futuro vede per il museo?

Ho rispolverato un’Associazione che avevo costituito in vista della preparazione del museo che chiamai “ETNO”.  

Questa Associazione mi sta dando un grande supporto in questa fase iniziale dell’attività del museo.  In seguito coinvolgerò altre Associazioni per collaborare con il museo.

Ma l’idea della fondazione non l’ha accantonata…

Neanche per idea. Ho già proposto l’idea della fondazione a due comuni che hanno manifestato la volontà di aderire. Siccome questo è un museo che rappresenta Arti e Mestieri Antichi della Sardegna anche qualche associazione di categoria mi sta proponendo di aderire e di organizzare eventi riguardanti i vari mestieri rappresentati nel museo stesso.

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