Nell’approssimarsi della legge di Bilancio, che sarà presentata in Parlamento alla fine di ottobre, il Governo è alla ricerca di fondi per approvare quelle riforme, tra cui quella previdenziale, che aveva promesso in campagna elettorale. Lo scorso anno i tempi erano molto stretti, con l’Esecutivo che appena in ottobre era nella piena operatività e si decise, pertanto, di destinare gran parte delle risorse disponibili a ristorare famiglie ed imprese per lo spropositato aumento delle bollette energetiche che a causa dell’invasione russa in Ucraina in pochi mesi erano più che raddoppiate. Quest’anno, invece, il Governo deve cominciare ad affrontare quei temi come pensioni, giustizia e fisco che gli hanno consentito di vincere a mani basse le elezioni dell’autunno 2022.
La riforma previdenziale è sicuramente uno degli impegni che l’Esecutivo ha preso nei confronti dei cittadini che si aspettano finalmente, dopo molti mesi di annunci, fatti concreti. Tra i partiti che compongono la coalizione di Governo Forza Italia già con lo scomparso Silvio Berlusconi aveva nella sue intenzioni la volontà di aumentare le pensioni minime 1000 euro entro il termine della legislatura, ma soprattutto la Lega di Salvini da molti anni ormai ha messo nel mirino la troppo rigida legge Fornero e ne vuole, giustamente, una sostanziale modifica. La Premier Meloni, però è molto più cauta, non vuole incrinare gli ottimi rapporti con l’EU da sempre favorevole alla legge Fornero e in sintonia con il Ministro del Tesoro Giorgetti non vuole mettere sul piatto delle risorse per la riforma previdenziale più di un miliardo e mezzo nella legge di bilancio 2024.
E’ come sempre un problema di risorse. La situazione economica in talia è in chiaroscuro. Se infatti il PIL è destinato ad aumentare in questo 2023 e probabilmente si assesterà sull’1% superiore a Francia e Germania ma inferiore alla Spagna, anche a causa dell’ottimo andamento del turismo, da sempre ancora di salvezza del sistema Italia, l’inflazione seppure in calo è ancora intorno al 6% ed il settore industriale comincia ad avere dei segni di rallentamento. Buone notizie arrivano dal mondo dell’occupazione arrivato ai massimi da oltre un decennio ma al tempo stesso i contratti stipulati sono spesso con retribuzioni molto basse non in linea con gli altri grandi Paesi europei. Quello che preoccupa moltissimo è sempre l’enorme debito pubblico, ormai giunto a quasi 2.800 miliardi che determina un costo enorme sugli interessi da pagare che nel 2024 saranno di circa 75 miliardi quasi come due leggi di Bilancio.
Consideriamo, inoltre poi, che per effetto della giusta perequazione degli assegni previdenziali che dovranno essere pagati al 100% dell’aumento del costo della vita almeno per quelli fino a 1.600 euro netti al mese, il costo previsto è di circa 9 miliardi e che per cominciare a pagare i dipendenti pubblici a seguito della sacrosanta sentenza della Corte Costituzionale sulla indifferibilità del TFS il cui costo è quantificato in 14 miliardi, si comprende come la grande riforma strutturale che tutti gli italiani aspettano da oltre un decennio sarà, per l‘ennesima volta, rimandata a tempi migliori. Se come sembra per la previdenza ci sarà solamente un miliardo e mezzo saranno rinnovati per un anno solo “Quota 103” (41 anni di contributi sommati a 62 anni di età), l’Ape Sociale con uscita a 63 anni solo per categorie svantaggiate e ampliata Opzione Donna che nel 2023 ha consentito a meno delle metà delle donne dell’anno precedente di potervi accedere. Se invece si farà uno sforzo e si arriverà al almeno tre miliardi si potrà aprire uno squarcio sulla flessibilità in uscita che da sempre rappresenta lo scoglio più difficile da superare, consentendo il pensionamento con 41 anni di contributi con lievi penalizzazioni e attuare la Quota 96 (61 anni di età sommati a 35 anni di contributi) per chi effettua lavori gravosi e usuranti già inseriti nell’elenco nella legge di Bilancio 2023.
Mauro Marino
Esperto di politica previdenziale