È stato un successo oltre ogni previsione. L’arrivo dello storico Alessandro Barbero ha catalizzato l’attenzione e l’interesse di tantissime persone giunte da ogni parte della Sardegna per assistere a Sanluri, sabato 30 aprile, ad un evento unico nel suo genere. Il luminare piemontese ha raccontato sul palco del Teatro Comunale le storie e i miti del Medioevo, l’arte della guerra e le affinità quanto le differenze con i fatti odierni. Cercando anche di mostrare come la Sardegna abbia vissuto una storia completamente diversa, più profonda, rispetto a quanto avveniva nel territorio continentale. A fare gli onori di casa sono stati Giorgio Murru, direttore scientifico del Festival e della Rete, e Alberto Urpi, sindaco di Sanluri – capofila del progetto Rete dei Castelli della Sardegna.
L’EVENTO – Alessandro Barbero ha messo in chiaro i termini della sua conferenza sin dalle prime battute. Gran sorriso, una evidente commozione davanti alle tantissime persone presenti dentro il teatro e nel foyer (oltre 500 persone in tutto, su oltre un migliaio di richieste pervenute) e una precisazione «Non sono uno specialista della storia della Sardegna, la cui storia è così profonda e stratificata che non può essere riassunta in poco tempo. Ha delle peculiarità sue forti, ha un’impronta che non si trova da nessun’altra parte. Solo chi vive qui la può studiare. La storia si conosce conoscendo un territorio a menadito. Toccando con mano i racconti. Quello che posso fare è raccontare come venissero vissute le guerre nel Medioevo».
Da questa premessa è partito il racconto dei personaggi del tempo, del concetto di guerra, delle strategie sui campi di battaglia, dei racconti popolari. Il tratto dominante è l’azzardo: chi muoveva i propri soldati e se stesso alla conquista di un altro territorio o delle ricchezze altrui, giocava d’azzardo. Se andava bene, era un modo per diventare ancora più ricchi e potenti. Se andava male, le difficoltà ricadevano soprattutto sugli umili, che dovevano pagare il riscatto per veder libero il proprio Signore oppure perdevano il bestiame che permetteva loro di vivere.
Non vi era però il concetto dell’omicidio: non si faceva la guerra per uccidere qualcuno, ma solo per conquistare. Esistevano precisi codici di comportamento, tempi certi. Era impossibile andare in battaglia durante l’inverno, ad esempio. Per questo si iniziava a combattere solo a partire dalla primavera, quando le temperature permettevano di muoversi più velocemente. Si lottava solo di giorno, ché la notte faceva paura a tutti. E una volta risolta la controversia o disposta una tregua, veniva seguita fedelmente sino al rilancio delle ostilità.
«Di una cosa siamo certi: i combattenti dell’epoca rifuggivano l’idea del soldato senza macchia e senza paura» ha spiegato, infine. «Senza macchia lo dovevano essere senz’altro, perché dovevi dimostrare di poter essere valoroso, anche al pensiero della leggenda che certe storie si portavano dietro. Ma senza paura no, era una cosa da sciocchi. I ragazzi alle prime armi erano sicuramente senza paura, incoscienti di cosa andavano a vivere. Ma chi aveva più esperienza, sapeva che la paura era una compagna ben presente. E che fare un passo indietro, spesse volte, era un modo intelligente per non finire catturato»
Dopo un’ora e mezzo di narrazione, il professor Barbero si è lasciato andare alla standing ovation del pubblico sardo, che non ha dimenticato di fargli gli auguri per il sessantatreesimo compleanno che cadeva giustappunto il 30 aprile. Al termine si è concesso alle foto e agli autografi richiesti dai presenti dopo esser stato omaggiato dal sindaco di Sanluri Alberto Urpi di una targa e della bandiera dei Quattro Mori.