Dieci mila siti archeologici distribuiti in 24 mila chilometri quadri a testimonianza di una delle più grandi e importanti civiltà del Mediterraneo con una densità abitativa di neanche 70 persone per chilometro quadro. Oltre 2000 chilometri di costa per 250 spiagge censite, a cui si sommano le cale non riportate nelle guide ufficiali. 93 Siti di Importanza Comunitaria per un totale di 475 mila ettari di superficie (il 19% della superficie totale dell’isola). 377 Comuni che esprimono 377 diverse identità culturali, innumerevoli personalità che hanno fatto la storia della Sardegna. Un premio nobel per la letteratura che ha ben descritto nelle sue opere la realtà sopra riportata. Diversi riconoscimenti Unesco. Blue zone nel centro Sardegna per l’alto numero dei centenari. L’isola del sole con una stagione turistica che potrebbe esprimere il suo potenziale per 12 mesi l’anno. Basterebbe questo breve elenco di elementi qualificanti per mettere a sistema un meccanismo che permetta alla Sardegna di vivere di solo turismo.
E invece nel 2019 l’isola è stata la sesta regione italiana per flussi di arrivi e la settima per numero di presenze rispetto alle altre regioni italiane.
“Significa che abbiamo un potenziale che esprimiamo solo in minima percentuale – commenta il presidente di Faita Sardegna Nicola Napolitano -, poiché viviamo di rendita rispetto ai grandi investimenti che furono fatti a partire dagli anni ’70 e ’80, quando cioè venne strutturato il sistema Costa Smeralda, che innegabilmente sta ancora fruttificando. Da allora nulla più è stato fatto. E nonostante abbiamo numeri da far invidia a tutto il bacino del Mediterraneo, continuiamo a vivacchiare, e a non comandare i meccanismi che regolano i flussi turistici”.
Sul banco degli imputati non solo la legge regionale 16 del 2017 che si dovrebbe occupare di Turismo, e dovrebbe rappresentare uno strumento che accompagna investimenti di pubblico e privato con una visione almeno ventennale, ma non lo fa; ma anche il nodo forse più importante, che rappresenta il primo vero limite alla fruizione di una Regione che è prima di tutto una isola: i trasporti.
Venire e andare via dalla Sardegna costa e incide ancora dal 30 al 40% rispetto al budget totale di una famiglia media che volesse scegliere la destinazione turistica al centro del Mediterraneo. “A stagione 2021 ormai a regime, nulla si è fatto e nulla si sta pensando di fare – denuncia Faita – per abbattere una barriera che di fatto funge da regolatore negativo dei flussi turistici verso la nostra isola”.
E se risolvere il nodo trasporti bastasse già ad alzare l’asticella dell’attrattività dell’isola, una volta arrivato il turista cosa trova? Un sistema ricettivo purtroppo ancora fermo a venti o trent’anni fa. “Perché? È semplice: l’unica vera svolta si ebbe con la legge sul turismo del 1984, che diede un impulso non indifferente ai meccanismi di accoglienza – commenta Napolitano – accompagnando gli investimenti dei privati, e nello specifico che mi compete nel settore dell’open air, e incoraggiando una strutturazione degna di un’isola che poteva e doveva lavorare anche con questo sistema. Ora invece, con i cambiamenti a livello globale, e una pandemia che speriamo presto sconfitta, ci ritroviamo sì ad avere tutto ciò che un turista post covid può desiderare (grandi spazi, distanziamento, contatto con la natura), ma con un sistema normativo che di fatto scoraggia l’adeguamento dell’accoglienza a quelli che sono i canoni di ora”.
“Come Faita crediamo che la Sardegna abbia tutto il potenziale per scalare la classifica che la porti da sesta regione in Italia per flussi di arrivi, al podio, se chi ci governa avrà il coraggio di affiancarsi al privato e ascoltasse le esigenze di chi realmente si occupa di accogliere il turista. Diversamente, sarà inevitabile scendere ancora più in basso in quella classifica”.