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Una lettera su reperti archeologici, musei e dintorni

Un fatto curioso è appena successo: ci ha scritto un tale di nome Nuragheddu che dice di essere… un coccio! Non sappiamo se è davvero un coccio ma, se abbiamo ben capito le sue intenzioni, vorrebbe pender parte attiva alla proposta, sollevata in questi giorni, di dar valore a una collezione di reperti archeologici ritrovata anni addietro da un cittadino privato (e poi sequestrata dai carabinieri circa un decennio fa e attualmente conservata nei locali di proprietà comunale) con la creazione di un (nuovo?) museo a San Gavino Monreale.

Ecco la sua lettera, che offre alcuni interessanti spunti sulla questione.


Salve a tutti, il mio nome è Nuragheddu. Avete letto bene, anzi benissimo, Nuragheddu come piccolo nuraghe, perché un villaggio nuragico è il luogo da cui provengo. Sono un reperto archeologico di età nuragica, come tanti che se ne trovano qua e là nei terreni nel Medio Campidano. Per tanti secoli, in realtà, molti di noi reperti sono stati trovati dagli agricoltori e, soprattutto in tempi più recenti, dai costruttori di edifici e di strade. Scavando scavando, salta sempre fuori qualcuno di noi. Vasi, utensili di vario genere, monoliti, statuette

. Un po’ di tutto insomma. Vi era in passato, oggi forse un po’ meno, l’abitudine a raccoglierci e portarci a casa, a tipo “arregodeddu”. Alcuni di noi reperti (sarebbe il caso di grossi monoliti nuragici) sono stati, così si narra, persino utilizzati per costruire strade, la 131, si narra! Altri oggetti, specie quelli un po’ troppo grandicelli per essere semplicemente trafugati o nascosti, sono stati direttamente distrutti dal ritrovatore. Così, senza pietà, eliminati per non essere più rintracciabili. Perché? Si temeva, un tempo forse, ora spero non più, che quel ritrovamento, se denunciato o scoperto, potesse portare disgrazie. Un esproprio, ad esempio, con il sospetto che insieme a quel reperto potessero trovarsene altri. Lo sappiamo tutti, il Medio Campidano, ma in fondo tutta la Sardegna, è disseminata di costruzioni nuragiche e ne conserva da sempre i segreti. Ma tra saccheggi e distruzioni, questo patrimonio è andato in parte perduto. Talvolta una seppur maldestra conservazione ci ha garantito la sopravvivenza; eppure spesso, in questi casi, siamo destinati a restare “vivi” ma muti, mutilati…insomma, in bilico tra il ricordo e l’oblio. Raccolti e portati via soltanto perché sembriamo antichi, e quindi presumibilmente di valore, siamo condannati a non poter raccontare più nulla a voi viventi. Solo raramente e con difficoltà veniamo conservati nel giusto modo, l’unico che possa garantire da noi reperti l’uso per il quale abbiamo tanto valore: la ricostruzione del passato, giustificata dal desiderio (autentico) di conoscenza (non di gloria o di vanto politico).

Insomma, sopravvissuto dopo secoli e secoli alla distruzione da parte del tempo e da parte degli uomini, sono qui per raccontare qualcosa, vi chiedo di ascoltarmi. E per farlo, state bene attenti, potete preparare un piano di lavoro, porvi degli obiettivi, adottare un metodo, programmare fasi di lavoro, coinvolgere esperti. Sceglieranno soltanto alcuni noi, testimoni del passato, perché in fondo non è necessario che ci identifichiate tutti, basta una minima parte, almeno per iniziare, poi il resto verrà. Costruirete un museo e con il museo costruirete un racconto, che vi dirà chi siamo, da dove veniamo, perché siamo preziosi e che cosa abbiamo da rivelare a voi del presente. Ma se in questo museo dedicherete anche uno spazio anche al tema della distruzione, del saccheggio e dell’incuria di noi reperti

, così frequenti in certe zone della Sardegna (ma anche dell’Italia), offrirete un contributo ancora più originale e interessante. Si capirà che il problema è grande e ha riguardato tante persone che in passato hanno distrutto, o raccolto senza pensare che fosse un bene di tutti. Si chiarirà che la raccolta di reperti da parte di privati, per quanto maldestra, è certo migliore della distruzione, eppure dannosa, dannosissima per la ricostruzione e la comprensione, se non viene operata da mano sapiente. Noi oggetti del passato non apparteniamo a nessuno, eppure a tutti. Possiamo parlare se conserviamo il nostro aspetto (senza essere distrutti dalle mani impietose di colui che, senza volerlo, ci ritrova nel suo terreno!) e un legame con il luogo in cui siamo stati trovati, se non diventiamo mero bottino, gingillo di cui vantarsi, se chi ci trova ha davvero voglia di sentire la nostra storia e, soprattutto, farla conoscere a tutti, sangavinesi, campidanesi e non!

Detto questo, ricordatevi anche, voi appassionati di cultura, che un museo sarà come una casa: ha bisogno non solo (eventualmente) di quattro mura e un tetto, ma di un custode, di qualcuno che si prenda cura di lui, di qualcuno che faccia ordine e pulizia, di qualcuno che accolga gli ospiti, ogni qualvolta ci siano visitatori, di qualcuno che regolarmente apra porte e finestre, e che ricominci a raccontare (tutto questo ha un costo, naturalmente, perché chi lavora per la cultura non vive d’aria!). Ha bisogno di tante cose, per restare vivo: altrimenti poca differenza ci sarà tra quella stanza in cui ora sto dormendo e una nuova, possibile, stanza, chiamata museo, in cui tornerò a dormire – come dormono, sentite qua, tanti altri “reperti” nelle stanze del paese (San Gavino Monreale): archeologia industriale (Museo 2 Fonderie, via Montevecchio snc), oggetti della cultura contadina sarda (Dona Maxima, via Amsicora 21), ricordi dell’attività calcistica sangavinese e sarda (Museo del Calcio Sardo/Collezione Delunas, presso i locali del Civis via Roma). Ora taccio, veniteci a trovare e vi parleremo di nuovo.

Il vostro coccio da museo, Nuragheddu

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