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Alcune domande sugli effetti a lungo termine dell’isolamento

L’epidemia da Covid-19 ha innescato uno stato di emergenza. Nessuno era immune al virus, il virus era nuovo e i suoi effetti sconosciuti, il sistema sanitario impreparato ad affrontare un’influenza di massa. Risultato? Tutti confinati in casa, tutti a debita distanza e tutti pronti ad aggredire chi non lo fa.

Anziani.

Bambini.

Persone con disabilità.

Tre categorie da proteggere, si dice spesso, anche se si potrebbe fare una lista molto più lunga delle persone su cui è necessario riflettere in questi giorni. È necessario riflettere, per capire se la quarantena, l’isolamento e il distanziamento sociale sono una soluzione a lungo termine come ormai, a fase 2 ancora in corso, ci sembra evidente. Perché a quanto pare, lo stato di emergenza si protrae più a lungo del “normale”. Non è più soltanto una questione di emergenza, ma un cambiamento radicale a lungo termine: distanziamento e isolamento sembrano essere le uniche risposte al contrasto di un diffondersi repentino dei contagi innescati da un patogeno per il quale nessuno ha l’immunità. La stragrande maggioranza della popolazione non ha ancora questa immunità e non l’avrà, per mesi e mesi e mesi, e non l’avrà soprattutto grazie al distanziamento sociale. Più distanti siamo, meno ci contagiamo. Giustissimo. Ma quanto deve durare questa situazione? Detta così sembra una cosa destinata a durare mesi e mesi e forse anni. Se non è più un emergenza, diventa normalità: allora dobbiamo ripensare un sacco di cose, prendere in esame diverse questioni.

Agli anziani  viene detto di non incontrarsi, di limitare le uscite, di non incontrare nessuno. Chi non ha la fortuna di vivere con altre persone, è solo. In casa, da solo, per mesi e mesi e mesi. Potrebbe anche morire, non da Covid-2019, ma da altro. Di sicuro, non sta vivendo.

Per i bambini niente più asilo, ma nemmeno vita all’aria aperta, a meno che non si abbia un giardino. Ma anche in quel caso, si tratta di una limitazione esagerata. Niente parco giochi, niente mare, niente scuola. Cosa imparano i bambini? Come procede il loro sviluppo? Dove sono gli altri bimbi con cui giocare? Dove sono le maestre? Un solo mese per un bambino è un’eternità. Un mese di reclusione produce in un bambino dei danni che è difficile stimare, ma li produce, non c’è dubbio. Mancano gli stimoli, il bambino apprende a fare sempre le stesse cose, si abitua a stare sempre negli stessi spazi. Quando uscirà sarà diverso, e sarà difficile ricominciare. E poi la scuola, dove spesso squillano campanelli d’allarme, dove vengono individuate una serie di criticità familiari che consentono di intervenire per tempo a tutela del bambino. Non entriamo in questi intricati dettagli, ma sappiamo che anche questo tipo di supporto, con le scuole chiuse, viene a mancare.

Quando la disabilità è di un tipo tale che la persona non possa vivere senza l’ausilio di qualcun altro, significa che ci deve essere sempre qualcuno vicino, ad assistere, ad aiutare, a facilitare e a consentire ciò che altrimenti, per chi ha una disabilità, non sarebbe possibile. Questa persona, nei mesi di reclusione e di distanziamento sociale, è il familiare. Spesso si tratta di un familiare anziano che a sua volta sta subendo le restrizioni e vivendo le difficoltà di questa situazione. Lo stato scompare, i servizi sociali riducono drasticamente il loro supporto e ogni forma di assistenza domiciliare viene ridotta al minimo o scompare. Va bene per una settimana, per un mese, forse si può arrivare a due, ma poi? Poi inizia un declino.

Questo declino riguarda tutti, non solo gli anziani, non solo i bambini (e per i bambini è gravissimo, perché condizionerà la loro vita per sempre), non solo persone con disabilità, ma tutti.

Vivere per una persona significa muoversi, significa incontrare qualcuno, significa imparare, significa per forza di cose contatto sociale.

Ora, se questo contatto sociale come lo abbiamo inteso sinora, cioè prima dell’epidemia, non è più possibile, o non sembra al momento possibile, occorre ripensarlo e, in realtà, occorre ripensarlo anche in vista del futuro, di un futuro che sarà diverso a quanto pare, anche se di certezze al riguardo ne abbiamo ben poche.

Cercare il modo di ricreare un mondo di contatti, di vicinanza, di sostegno, di scambio e aiuto reciproco è altrettanto urgente che cercare un modo per far “ripartire” l’economia, se non di più. Accanto a quelli che chiedono un sostegno economico, un supporto alle proprie attività imprenditoriali e lavorative, ci devono essere persone che chiedono un supporto psicologico e sostegno sociale. Accanto a quelli che chiedono di poter riaccedere liberamente a negozi, parrucchieri e ristoranti, si deve sentire la voce di chi chiede semplicemente un po’ di compagnia, cure basilari della persona, educazione e formazione. Chiediamocelo: davvero anziani, bambini e disabili devono essere gli ultimi ad avere diritto alla socialità, proprio perché bisogna difendere le categorie “più deboli” ed evitare tutto ciò che implica la socializzazione?

Via libera allo shopping, agli aperitivi, agli assembramenti che fanno girare l’economia, ma niente anziani seduti su una panchina per strada o in un parco, anzi, parchi chiusi.

Davvero chi non produce, non vende e non compra, chi non compie ciò che appare necessario deve stare a casa?

Quello che scrivo non deve servire a fare polemica, ma a cercare altre vie, vie d’uscita. Nuovi modi di pensare la collettività in una situazione stressante e opprimente per tutti, non solo per i produttori, per i commercianti, per le partite iva. Ci sono anche le persone che non si lamentano mai, che accettano più o meno passivamente quanto accade, che, anzi, spesso vengono incriminati se “sgarrano” di una virgola, se non eseguono alla lettera le direttive imposte da chi, curiosamente, dice di volerli “proteggere”. Chiediamocelo di nuovo: ci sono altre strade che è possibile percorrere per avviare nuove forme di socializzazione, istruzione e sostegno reciproco? Siamo sicuri che dobbiamo rassegnarci sino a che l’emergenza (che non è più emergenza) non finirà? Siamo sicuri che un sacrificio del genere, perché di sacrificio per tutti e a tutti i livelli si tratta, non lascerà cicatrici profonde che vanno ben oltre la crisi economica?

Per non parlare soltanto, allora abbiamo pensato che forse sarebbe utile chiedere agli “esperti”, alle persone “del settore”, ai responsabili delle politiche che riguardano più da vicino queste categorie di esprimersi su questi argomenti. Non chiediamo risposte immediate o vaghe, ma di riflettere un po’ sul problema, esaminarlo a fondo e cercare di portare avanti il discorso in maniera partecipata, dando ascolto anche alle voci “che non parlano mai”. La richiesta di collaborazione e di risposte si allarga alle associazioni, alle famiglie, ai singoli cittadini che hanno qualcosa da dire su questi temi. Per maturare assieme nuovi progetti, nuovi percorsi o anche solo piccole soluzioni che aiutano a districarsi un po’ tra le contraddizioni di questa assurda situazione.

La.F.

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