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Germania, l’esempio da non seguire e il DPCM che tutela l’Italia dal disastro

Giuseppe Conte

In Germania, subito dopo un affrettato allentamento delle misure di contenimento del coronavirus, si è verificata una ripresa istantanea dell’epidemia.

Il tasso di contagio, secondo il Robert Koch Institute (RKI), è infatti risalito a 1, cioè ogni persona infetta ne contagia almeno un’altra. Durante il lockdown tedesco il tasso di infezione era calato fino a 0,7 e poi è risalito di nuovo, insieme al tasso di mortalità per Covid-19. Le immagini delle spiagge tedesche piene di gente hanno fatto il giro del mondo. Ma ancora una volta, il cosiddetto “esempio tedesco” sbandierato da tantissimi “anti-italiani” per partito preso, si dimostra tutt’altro che un modello.

Riportiamo integralmente, a tal proposito, il pensiero che il giornalista Emilio Mola ha affidato alla sua pagina Facebook. Spiega benissimo perché l’Italia non può permettersi una riapertura frettolosa, una seconda impennata dei contagi e un nuovo lockdown

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Quando lo scorso 8 marzo in un solo giorno i contagiati furono 1.300 e i morti 130, tutti iniziammo a capire cosa stesse accadendo. E davanti a quei numeri che ci sembravano (erano) un’enormità inaccettabile, iniziammo a chiedere, a volere, a pretendere zone rosse, chiusure, divieti e lockdown.

Domenica 26 aprile, che i contagiati sono stati il doppio rispetto all’8 marzo (2.300) e i morti anche il doppio (260), ci sembra intollerabile non poter tornare al bar, nei ristoranti, nei negozi, andare a tagliare i capelli e poter uscire a piacimento.

Ciò che ci è sembrato doveroso, e cioè chiudere tutto, quando i morti e i contagiati erano la metà, ci sembra invece una cattiveria gratuita di un politico brutto e cattivo ora che i contagiati e i morti sono il doppio.

E tanto dovrebbe bastare a capire quanto l’istinto, in questo momento, stia prendendo il sopravvento sulla logica. Certo, qualcuno obietterà, allora quei numeri erano in aumento mentre ora sono in diminuzione.

Ma sono in diminuzione proprio perché alle spalle abbiamo due mesi di lockdown.

E’ stata la chiusura, il sacrificio di milioni di italiani a casa, ad aver permesso la diminuzione di quei numeri. Ma il virus non si ferma mica con la diminuzione. Il contagio può tornare a risalire a ritmi drammatici. Basta dargli ciò che vuole: contatti umani, incontri, affollamenti, una chiacchiera tra due amici che stanno benissimo, anche se uno dei due è contagioso e ancora non lo sa.

Conte, da politico, avrebbe potuto fare ciò che politicamente era meglio per lui: dare agli italiani ciò che gli italiani bramano, esausti. La libertà.

O almeno più libertà. Il suo gradimento, oggi al 66%, sarebbe schizzato all’80%.

Ma ha preferito sacrificare la sua immagine. E nessuno che si chieda il perché.

In questi mesi abbiamo visto politici che a prescindere dai fatti dicevano “aprite tutto” perché gli elettori volevano aprire tutto. Poi hanno urlato “chiudete tutto” perché gli elettori chiedevano di chiudere tutto. Ora riurlano “aprite tutto” perché gli elettori chiedono di aprire tutto.

Ma Conte, evidentemente, negli italiani vede degli esseri umani da difendere, più che degli elettori da assecondare.

E la gradualità, per quanto dura, è l’unica strada che può proteggerci anche da noi stessi. Per quanto “elettoralmente” non appagante. Perché un’altra impennata significherebbe un altro lockdown (a meno che non si consideri accettabile la morte di altre decine di migliaia di esseri umani e il collasso degli ospedali).

E l’Italia un altro lockdown prima dell’arrivo del vaccino non può proprio permetterselo.

Perché la crisi che stiamo affrontando ora sarà ricordata come un periodo d’oro rispetto a quella che potrebbe attenderci. E qualcuno non lo ha ancora capito.

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