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Interviste in quarantena: Gianrico, reclusione forzata e cultura della bicicletta

Intervista a Gianrico

Vogliamo portarvi oggi, almeno con la fantasia, per i campi e le strade di campagna del Medio Campidano, per vaste distese piatte ma anche su per le salite ripide che conducono al castello di Monreale, col vento in faccia e l’odore dell’erba, il sole che scende al tramonto, disegnando all’orizzonte il profilo dell’Arcuentu. Difficilmente viaggiando in macchina, frettolosi e distratti come siamo, possiamo concedere ai sensi tanto godimento. Ma se andassimo a piedi o magari in bicicletta questo sì, diventa possibile. Qualcuno, come Gianrico [^_^ nome di fantasia! NdA], ne è convinto da sempre.

Siamo andati a fargli due domande per capire cosa significa andare in bicicletta e cosa significa non poterlo fare – ci è chiaro a tutti oggi, ai “tempi del coronavirus”. Ci siamo chiesti perché viviamo in un paese e in una regione dove le biciclette non sono il principale “mezzo di trasporto”, come dovrebbero, anzi vengono addirittura, talvolta, disprezzate…

Un’esagerazione?

No, una mesta constatazione. Come per tante cose, non riusciamo ad apprezzare ciò che è a nostra disposizione e guardiamo sempre altrove, alla ricerca di chissà cosa. Abbiamo la fortuna di vivere in un luogo dove praticamente tutto, dal mare alla montagna passando per campi e boschi, è a un tiro di schioppo. Ma preferiamo girare con l’auto sulle strade bitumate, inquinando e accumulando stress, mentre fuori dal finestrino scorrono i panorami incantevoli della nostra terra.

Tu sei sempre andato in bici, preferendo spostarti così anziché con l’auto, come molti ragazzi cominciano a fare non appena riescono a prendere la patente. Che differenza c’è? E perché andare in bici?

Comincerei ribaltando l’ultimo quesito: perché andare in macchina? Per quanto mi riguarda l’auto serve per fare la spesa, trasportare carichi pesanti ed uscire dal proprio comune. Per tutto il resto, per chi come noi vive in un piccolo paese circondato da chilometri di campagna, l’auto è un vezzo. Un vezzo costoso, profondamente inquinante e generatore di stress. Ma, insieme allo smartphone, è il più coriaceo status symbol che l’umanità abbia mai concepito. Ci si indebita per acquistare auto che non ci si potrebbe permettere, si consuma carburante per girare a vuoto nelle solite quattro vie. Ci si prende la briga di tirar fuori l’auto dal garage per percorrere duecento metri da casa sino al tabaccaio. L’auto infonde sicurezza, la certezza di avere un ruolo e una posizione socialmente accettata e rispettata all’interno della propria comunità. Per questo motivo viene usata sempre e comunque, nonostante tutto. La bicicletta, invece, è percepita come un mezzo di ripiego, qualcosa a cui ricorrere quando non si hanno le condizioni economiche per usare l’auto… brutalmente, è un mezzo da “sfigati”. Da ciò consegue lo scarso rispetto che gli automobilisti dimostrano per i ciclisti, sia all’interno dei centri abitati che lungo le strade extraurbane. Tutto ciò può derivare dalle logiche industriali, dalle dinamiche sociali o dalla particolare situazione economica dell’intera nazione… in ogni caso è un modo di pensare ben radicato nei nostri usi e costumi.

Vista del Medio Campidano con bici… [Foto di Gianrico]

A San Gavino quasi più nessuno va in bici: né i bambini né le mamme che vanno a fare la spesa, nessuno, forse qualche anziano. Un’usanza che si è completamente persa negli anni, mente avanzano prepotenti i suv, il più delle volte diesel, e ci si lamenta di continuo della pessima qualità dell’aria. Non parliamo della bicicletta come “sport”, perché quello, al contrario, pare stia andando più di moda (specie quando si possono comunicare i prodigi compiuti, in termini di km, sui social network). Eppure, sia che si tratti di sport, sia che si tratti di “buone e sane abitudini” andare in bicicletta sembra essere diventato troppo “pericoloso”, specie nel centro abitato, ma anche nelle strade di campagna o nelle provinciali (per l’assenza di strade esclusivamente dedicate ai ciclisti, che altrove nel mondo esistono eccome e sono trafficatissime!). Ne convieni? Qual è il motivo?

Non penso che andare in bicicletta sia più pericoloso adesso rispetto a trent’anni fa (sono figlio degli anni ’80). Le auto c’erano anche allora, erano meno sicure e inquinavano di più. Penso invece che l’abitudine consueta di prendere la bicicletta si sia sgretolata fino a scomparire, laddove in altri stati europei (ma anche nelle regioni più a nord dello stivale) è cresciuta sino a divenire parte della cultura locale. È questo che manca qui in Sardegna: la cultura della bicicletta. La gente ha dimenticato quanto sia naturale pedalare su una due ruote. In pochi sanno che andare in bici non è solo salutare ed ecologico, ma anche gratificante. Come per tutti gli sport e le attività fisiche, andare in bici produce endorfine che fanno stare bene, oltre a bruciare grassi e ossigenare il corpo. Inoltre consente di apprezzare davvero la natura, di respirare aria più pulita e godersi il sole. Non si deve necessariamente faticare, se non si ha voglia! Tutto questo le persone sembrano averlo dimenticato.

Mancano le ciclabili perché manca chi va in bici o manca chi va in bici perché mancano le ciclabili? Possibile che i papà non insegnino più ai bimbi ad andare in bici, perché circolare in paese in mezzo al traffico selvaggio è troppo pericoloso? Oppure si impara ancora ad andare in bici, ma solo per diventare degli “sportivi” e non per usare la bici quotidianamente?

Come dicevo, manca la cultura della bicicletta. Le ciclabili mancano perché manca chi ha voglia di utilizzarle. Anni fa nel nostro paese ne vennero tracciate alcune, che dopo poco tempo furono cancellate perché di intralcio agli automobilisti. Un tentativo timido, malfatto e sostanzialmente inutile. Servirebbe invece un percorso che sfrutti i tanti spazi verdi inutilizzati (e talvolta incolti) che abbiamo all’interno e all’esterno dei nostri piccoli paesi. I sentieri ci sono, bisognerebbe soltanto sistemarli e renderli più sicuri. La gente ha bisogno di qualcuno che la aiuti a riscoprire la bicicletta e il mondo ad essa connesso.

E oltre alle ciclabili mancano le rastrelliere per le bici, ad esempio, poste davanti tutti i negozi e gli uffici, come avviene in altre città europee più “progredite”, dove si cerca di rallentare e di pulire l’aria, favorendo la circolazione a piedi e in bicicletta. Ne abbiamo una sola in paese, piccola, nella piazza principale all’ingresso del Comune, quasi un simbolo o un’invocazione speranzosa, ma non troppo convinta…Cosa manca per far tornare la voglia in paese di andare in bici?

Le rastrelliere sono sicuramente qualcosa di cui c’è un gran bisogno. Non sono solo strumenti ma “simboli”: vedendole davanti ai negozi, magari mentre si gira a vuoto cercando parcheggio, ci si ricorda all’istante di quanto possa essere comoda la bicicletta. Ma servirebbero incentivi di presa maggiore, come bici a noleggio, eventi a tema che risveglino l’interesse… tra l’altro, nel nostro paese abbiamo un sindaco appassionato di ciclismo, lui perlomeno dovrebbe avere a cuore la questione!

Il bel tempo non ci manca, la pioggia e la neve non sono nostri problemi, forse il vento può disturbarci, ma non è questo. Nel nord dell’Europa, in Olanda, in Germania e altrove, si va in bici con il freddo invernale, con la pioggia e persino con la neve. Si va in bici alle riunioni in giacca e cravatta, vanno in bici le mamme con i bambini in tutti i modi (nei rimorchi, nei seggiolini, persino con due o più bimbi insieme, come si faceva un tempo anche qui, uno davanti e uno dietro). Cosa è cambiato? Perché non possiamo farlo di nuovo?

Bisogna ricostituire la cultura della bicicletta, pezzo per pezzo, cominciando dalle cose più semplici e basilari. Non è possibile che dall’oggi al domani le persone riprendano a usare la bicicletta come facevano un tempo. Deve essere un processo graduale e naturale. La crisi che seguirà questa pandemia, quando alla fine si giungerà al termine del lockdown, potrebbe essere un’occasione per ridurre i consumi di carburante e, di conseguenza, sfruttare un pochino di più i mezzi “muscolari”. Ma la gente va presa per mano, altrimenti non cambierà nulla.

Ora che siamo tutti (o quasi tutti) chiusi in casa per il Covid-2019, che messaggio possiamo lasciare a chi ha una bici in garage o in cortile?

Prendere una seggiola, sistemarsi davanti alla bici e osservare quest’ultima attentamente. Affioreranno i ricordi, anche quelli di infanzia. Tornerà in mente, forse, il perché quella bici è stata acquistata. Si sentirà la mancanza di qualcosa che è sempre stato lì ma di cui non ci ricordiamo più da tempo. Succede sempre così: capiamo l’importanza delle cose quando le perdiamo. Ora che non possiamo uscire di casa, per questo motivo, dovrebbe tornarci la voglia di inforcare la bici. E chissà che non ci si ritrovi, in futuro, giù per un trail sconnesso o sulla strada diretti al lavoro, a riscoprire veramente quanto sia naturale e appagante pedalare all’aria aperta.

Ma finanto che siamo a casa, dobbiamo rassegnarci ad attività più “casalinghe”. Consigli per una lettura da quarantena?

Dune di Frank Herbert, in attesa che esca il film a fine anno (quando l’emergenza Covid19 sarà, si spera) terminata.

La.F.

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