I riti della Settimana Santa sono tra quelli più importanti per la comunità cristiana, molto sentiti e momento di unione e fratellanza tra i fedeli. L’emergenza coronavirus ha stravolto le nostre abitudini quotidiane, e anche costretto la Chiesa a modificare alcune delle tradizioni per il bene della collettività.
A San Gavino Monreale, ad esempio, le Messe e le Preghiere vengono trasmesse in streaming, per raggiungere “a casa loro” i fedeli che non possono più recarsi in chiesa. Il venerdì santo da sempre è il giorno in cui si celebra la paraliturgia de “Su Scravamentu”, quest’anno “annullato” per ordine del Vescovo (così come tutte le celebrazioni simili nel resto della Sardegna) per evitare assembramenti.
È un simbolo dei tempi che stiamo vivendo. La tradizione de “Su Scravamentu” non si era mai fermata, nemmeno durante le Guerre Mondiali, ma questa pandemia ci pone davanti a difficoltà e rinunce del tutto inedite. Anche la tradizionale processione di Sant’Efisio a Cagliari (la più importante della Sardegna, per afflusso di pubblico) è stata annullata. Si tratta quindi di un fortissimo segnale da parte delle autorità ecclesiastiche (se vogliamo, anche civico ed educativo) che vogliono invitare la cittadinanza a restare in casa.
Vi riportiamo integralmente un articolo scritto per noi nel 2016 da Alberto Serra, esperto di storia e tradizioni sangavinesi.
Importante per la religiosità locale sono i riti della settimana santa (xida santa), che dal venerdì arrivano fino alla domenica di Pasqua.
A San Gavino Monreale è forte l’antica tradizione – che non si fermò nemmeno in tempo di guerra e carestia – de su scravamentu (detto anche s’Iscravamentu – derivante dallo spagnolo desclavament – che significa, letteralmente “lo schiodamento” o “il discendimento” di Cristo dalla Croce e la sua deposizione).
Legato a questo rito pasquale è la Confraternita di Santa Croce, che ha sede da molti secoli nell’oratorio che si trova all’interno della chiesa omonima. Fino ad alcuni anni fa i resoconti delle molteplici attività svolte dalla confraternita erano tenute da un confratello denominato su clavariu: si chiama così in quanto egli, insieme a su cascieri e a s’obreri conservava le chiavi della cassa della Confraternita.
Ancora adesso si possono consultare tutti i preziosi registri di questi resoconti. Questa confraternita, da tradizione, fu la prima ad essere istituita e i cui membri si tramandano tutt’ora i segreti e i compiti. Fondata presumibilmente (come supponeva Raimondo Porru a metà del XIX secolo) con la costruzione dell’edificio religioso (circa XVI secolo), la confraternita svolgeva diversi ruoli all’interno della comunità locale.
Per quanto riguarda il rito de su scravamentu si è soliti usare – ancora oggi – un grande crocifisso in legno di ginepro scolpito e lavorato da Francesco Melis nel 1745, oltre a costumi di pregiata fattura. L’intero rito rappresenta la deposizione di Gesù dalla croce: i confratelli portano in processione il simulacro del Cristo fino alla chiesa parrocchiale di Santa Chiara Vergine. Qui vi allestiscono un palco e con due scale schiodano il Cristo dalla sua Croce e lo depongo, con sommo rispetto, in una antica lettiera.
Nella mattina di Pasqua, dopo la veglia, l’effige del Cristo Risorto viene portato in processione per quello che viene chiamato s’Incontru – ovvero l’incontro – tra il Cristo e la Madonna della Pietà. Durante la processione i fedeli cantano, con estrema partecipazione, il Miserere in sardo (detto anche salmo 51 o 50 secondo la numerazione greca, durante il quale i fedeli esprimono pentimento e invocano la misericordia divina).
Ma chi sono i protagonisti della vicenda impersonati dai membri della confraternita in costume? Spiccano tra tutti Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, oltre ai tanti giudei. Giuseppe fu – secondo i Vangeli – un ricco uomo che si convertì alla causa di Gesù e membro del Sinedrio, che chiese a Ponzio Pilato di poter prelevare il corpo di Cristo per poterlo seppellire. Egli, insieme a Nicodemo – anch’esso discepolo – lo deposero dalla croce e lo avvolsero nel sudario di lino (Sindon in greco).
Alberto Serra
Per approfondire:
CASTI A, Santu ‘Engiu arrogus de storia, 1997.
GIACU A, Oltre l’incendio, il manoscritto “porru”, 2003.
Wikipedia, 2016.