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Latte, formaggio, mercato e concorrenza

Siccome dormo poco, mi son preso la briga di leggere qualche dato e qualche paper su un tema che non conosco e non conoscevo. Con l’avvicinarsi delle elezioni regionali si buttano giù tante idee, promesse, invenzioni, parole.

Tra le tante cose che leggo in questi giorni è tornato sulla bocca di tutti (ed in particolare in quella di aspiranti consiglieri regionali e degli aspiranti e basta – si lascia la dimostrazione al lettore) la crisi del reparto produttivo di latte e derivati.

Latte, formaggio, mercato e concorrenza

Tre o quattro premesse: 
1. Sarà una cosa noiosa da leggere, probabilmente;
2. Non conosco questo mondo da vicino;
3. Non sono un economista;

Costi di produzione. Fonte: Piano di settore ISMEA 2018.

Quella roba del “Pocos Locos y mal Unidos” ed il “centu concas centu berrittasa” non segnano solo i rapporti sociali della società Sarda ma sono importanti anche nei processi di produzione.
Se un’azienda grande produce a 1,33 euro/litro, una di media grandezza lo fa a 1,82 euro/litro.

Cosa incide così tanto? Sicuramente non i costi dei mangimi per litro di latte di prodotto che ammontano a 0,50 euro nel primo caso e 0,49 nel secondo. Quel che cambia, invece, è la meccanizzazione della produzione: l’incidenza del costo del lavoro per un’azienda media è più del doppio (0,83 euro/litro contro i 0,38 euro/litro) rispetto ad una azienda grande. È infatti ben noto, in letteratura, che essere “piccoli” in un mondo pieno di “grandi” non permette di investire in ricerca, sviluppo ed affinamento dei processi di produzione.

Export. Fonte: rapporto Laore III trimestre 2016.

Il principale lavorato che viene commercializzato nel mercato interno ed estero è il formaggio pecorino. Ma quale prodotto, nello specifico? In Sardegna c’è la convinzione che, fuori di qui, ogni prodotto Sardo sia apprezzato e riconosciuto per la sua indubbia altissima qualità. La verità, ed anche un po’ triste, è però un’altra.

Più della metà del latte prodotto nell’isola viene utilizzato per produrre prodotti di bassa qualità: in particolare si parla di destinare la produzione a “mix di formaggi” che finiscono principalmente nelle mani di consumatori Statunitensi (circa il 64% degli export di formaggi del mercato italiano) che di certo non sono famosi per apprezzare il pecorino stagionato di tziu Peppeddu, ma per mettere l’ananas nella pizza.

Succede così che il prodotto del sudore dei nostri pastori va a finire per la maggior parte in mix di formaggi per paste scotte.

Questo comporta due ordini di problemi:

il primo è l’alta sostituibilità del bene, la conseguente caduta del prezzo d’acquisto e quindi di ciò che si mette in tasca il pastore (si punta al ribasso, visto che non parliamo di un prodotto di nicchia); il secondo è invece vanificare ampiamente lo sforzo dei nostri pastori che producono un prodotto di alta qualità che alla fine della giostra viene pagato a prezzi ridicoli (senza contare le politiche di “droga del mercato” dalle quote di produzione agli incentivi della tanto odiata Europa per tenere “accettabili” i prezzi).

Guardando l’intero comparto di esportazione italiano di prodotti caseari derivati dal latte ovino, a causa della rigidità dei prezzi (per provare a remunerare, per lo meno, “la forza lavoro”), le tonnellate vendute di pecorino destinate ai mix di formaggi grattugiati tra il 2014 ed il 2016 sono scese del 25%. L’export del pecorino per prodotti non destinati a mix di grattugiati, e quindi probabilmente ad un mercato che ne sappia apprezzare la qualità è aumentato, nello stesso periodo, del 146%.

2+2 =…

L’attuale sistema di produzione-export-consumo non permetterà mai (data l’alta oscillazione dei prezzi a cui sono sottoposti i prodotti finali) di stabilizzare e remunerare decentemente i pastori e le nostre aziende.

Si continui pure a discutere di piccoli interventi volti alla sopravvivenza ma senza un cambio di rotta strutturale tutto il comparto sarà, purtroppo, destinato a morire a causa della mancanza di visioni di medio lungo periodo e del “contentino” regalato al tessuto produttivo in funzione del proprio ciclo politico-economico. Per fare questo servirà tanta pazienza, più guida del settore pubblico, meno litigiosità tra i produttori ed un poco di zucchero e fortuna.

Fabio Angei

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