Daniele Carta è un nuovo diacono della Chiesa. Don Daniele, già professo Missionario Redentorista, domenica 8 gennaio 2017 alle ore 18 presso la chiesa Madre del Perpetuo Soccorso dei Missionari Redentoristi, ha ricevuto l’ordinazione diaconale per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria di mons. Corrado Melis, vescovo di Ozieri. Presenti alla concelebrazione Eucaristica, diversi sacerdoti della Congregazione e della nostra diocesi, in particolare il parroco e cerimoniere don Elvio Tuveri.
Don Carta, ventisettenne sangavinese, ha mosso i suoi primi passi dentro la sua “semplice e non numerosa famiglia”, e “dalla fervente e giovane comunità parrocchiale di Santa Teresa”, come il neo diacono ama ricordare. Dopo il diploma al Liceo Scientifico “Marconi”, all’età di 20 anni è partito per Roma, dove ha intrapreso il cammino vocazionale presso la Congregazione dei Missionari Redentoristi e gli studi filosofico-teologici presso la Pontificia Università Lateranense. Dopo cinque anni vissuti nella capitale, ha affrontato diverse esperienze: un anno a Salerno, sei mesi in Spagna e poi in Slovacchia. Ora da un anno si trova a Francavilla al Mare in Abruzzo. Abbiamo rivolto alcune domande al giovane neo diacono Daniele.
Il tuo “cammino vocazionale” ha una storia lunga e articolata: c’è qualcosa che ti ha segnato in particolare?
L’inizio del mio cammino vocazionale è stato segnato giustamente dall’ambiente religioso ed ecclesiale della mia diocesi: questo è stato appunto il “segnale di direzione” della mia vita. Sarò infinitamente grato alla mia famiglia parrocchiale di Santa Teresa che fin dal giorno della mia nascita mi ha accolto come figlio e insieme ai sacerdoti che si son succeduti mi ha accompagnato come fratello. Una parte importante l’hanno avuto le Suore del Cenacolo che nei primi anni di vita hanno ritmato i primi battiti del mio cuore secondo la musica della fede. L’esperienza fantastica vissuta nell’adolescenza con il gruppo vocazionale “Emmaus” che è stato per me una vera e propria famiglia, comunità di vite giovani in ricerca di un senso e di una realizzazione umana in tutte le sue sfaccettature. Tutto e tutti in queste fasi della mia esistenza hanno contribuito a modellare il Daniele di oggi.
Dopo il diploma hai scelto di “sposare” la Congregazione dei Redentoristi come mai questa scelta? Cosa o quale ideale ti ha ispirato a scegliere di diventare “religioso”?
La conoscenza della Congregazione del Ss.mo Redentore (fondata da Sant’Alfonso M. de Liguori nel 1732), mi verrebbe da dire che è stata “casuale” ma da uomo religioso oserei dire “provvidenziale”. Se l’idea di sposare una Congregazione a tanti è sembrata una reazione o uno strappo da una realtà come quella diocesana, per me invece è stato il naturale proseguimento di un cammino comunitario, familiare e unitario che la mia diocesi mi ha suggerito con la sua testimonianza prima e con i suoi progetti poi. È questa benemerita comunità diocesana che con il suo vivere e il suo agire mi ha mostrato quanto la formula comunitaria sia la formula vincente. Certo poi mi sono innamorato della mia Congregazione religiosa e la sento come l’abito più adatto a me per seguire e accompagnare il Maestro in questo nostro mondo. Nella vita comune tra confratelli e nella vita apostolica dei Redentoristi, che hanno come destinatari gli uomini e le donne più abbandonati delle nostre periferie, vivo sulla mia pelle il messaggio più profondo e felice, che tutti ma proprio tutti, sono amati ma soprattutto salvati dal Padre. Qualcuno penserà: che grande scoperta! All’epoca di Sant’Alfonso non tutti predicavano questo e purtroppo, ahimè, molto spesso anche oggi non tutti ne sono convinti. Sono felice di appartenere alla vita consacrata e di esser Redentorista!
Il dono del diaconato: servo per e nella Chiesa. Sei emozionato e allo stesso tempo senti il peso di tale responsabilità: come vivi tutto ciò?
Già poter sentire veramente che tutto ciò è “dono” mi porta a vivere questa nuova dimensione nella logica della gratuità e della riconoscenza. Un dono per poter esprimere la sua vera natura per il quale è stato costituito, deve essere accolto per quello che è e anche ricoperto di un significato personale da parte di colui che lo riceve. Una volta accolto allora potrà esser fedele, potrà esprimersi e sarà capace di realizzare il suo vero essere. Secondo questa riflessione io voglio vivere il diaconato con la logica dell’accoglienza, del servizio, della disponibilità e generosità. L’emozione è tanta e mi piace pensare anche a Dio che si emoziona quando sente un nuovo sì da parte di un uomo che si consacra ma non solo, anche da parte di una coppia che si sposa, da chi accoglie una nuova vita e da chi questa vita la riconsegna a Lui.
I giovani che scelgono la via del sacerdozio sono pochi, come quelli alla vita religiosa, senti di rivolgere loro un particolare invito?
Ho avuto la fortuna di incontrare tanti giovani di varie nazionalità e culture, di diverse estrazioni sociali e con diversi gradi di istruzione. In tutti c’è un’idea un po’ distorta della vita sacerdotale o religiosa. Ho sempre condiviso con coloro che ho incontrato la mia esperienza di uomo consacrato e ho portato la testimonianza della bellezza e del fascino che possiede la nostra vita e che assume soprattutto quando la si consuma con Gesù. Non c’è una vita migliore o peggiore ma c’è semplicemente la vita che deve essere vissuta in pienezza e spesa felicemente per il Padre con i fratelli e per i fratelli con il Padre. E infine son convinto che noi consacrati e consacrate, che abbiamo usato tante e spesso troppe parole per inventarci slogan vocazionali, dobbiamo diventare sempre più “inviti vivi” con la nostra coerenza, testimonianza e soprattutto autentica fede.
Chi senti di ringraziare oggi?
È chiaro che il mio ringraziamento va prima di tutto al Padre perché in tutte le esperienze vicine e lontane si è sempre reso presente con il Suo “eccomi”. A voi che siete la mia famiglia diocesana e che porto nel cuore. Ma soprattutto a coloro che non credono e che in tante circostanze felici e dolorose ho incontrato: son loro che mi hanno spronato ad essere missionario coerente, a rinnovare quotidianamente la mia fede e l’“eccomi” al mio e nostro Redentore.
Fonte: don Emmanuele Deidda su “Il nuovo cammino”