Lo zafferano (crocus sativus), prodotto a San Gavino Monreale e così rinomato a livello nazionale, ebbe una sua rilevanza anche nel corso dei secoli passati. Portato – probabilmente – dai Fenici tra l’VIII e il IX secolo a.C, venne usato pure dai Romani.
Divenuto un prodotto di lusso, venne forse reintrodotto nell’Isola (e di sicuro nei nostri territori) con il monachesimo greco di matrice Basiliana: questi monaci ne facevano ampio uso, usi che andavano dalla colorazione dei tessuti e dei paramenti sacri, alla liturgia fino all’aspersione degli ambienti. Tuttavia, è lecito pensare che le coltivazioni fossero in numero esiguo, sufficienti solo per il soddisfacimento delle loro esigenze.
È possibile però che possano esserci state delle influenze portate dagli Arabi: infatti, il termine sardo tzaffaranu è la derivazione del termine arabo zaafaran, che a sua volta venne italianizzata, diventando poi zafferano (furono infatti i Pisani che, nel XIII secolo, ne disciplinarono l’esportazione). Ma le prime attestazioni sulla coltivazione dello zafferano a San Gavino si hanno con il XVI secolo: del 1539 è un documento notarile in cui si cita, tra le altre cose […] Io Antonio Etza calzolaio del villaggio di San Gavino […]Quindi dichiaro prometto di dare e pagare una certa quantità in questo modo vale a dire entro il mese di novembre prossimo quattro libbre di zafferano a due ducati per libbra […]. Sempre un documento del notaio Da Silvia riporta il fatto che esistono, nelle campagne del cagliaritano, due impianti a San Gavino.
Verso la fine del XVI secolo, il famoso storico sassarese Giovanni Francesco Fara scriveva: […]praetera abundant insula croco optimo […]interius autem planitiem habet insignem in qua sunt, oppidum sancti gavini, in cuius agro fit optimus crocus […]. In quei secoli, la coltivazione dello zafferano avveniva in quelli che venivano chiamati horts de moly, ovvero degli orti irrigati con acqua dei pozzi tramite mulini azionati con la forza degli animali.
Di questi horts de moly ne abbiamo testimonianza anche nei toponimi, come ad esempio Horts de santa Luxia, Cristolu oppure Pauli bois, inseriti nella terras de campu, cioè terreni situati in pianura ed in campo aperto, di ottima fertilità, privi di alberi e colture arboree di qualsiasi tipo, comprese le siepi, adibiti alla coltura dello zafferano.
La produzione continuò per diversi secoli: Max Leopold Wagner scriveva che […] da Sanluri si giunge in circa un’ora a San Gavino, centro principale della coltivazione dello zafferano. Vittorio Angius riportava le seguenti informazioni […] uno dei prodotti particolari di San Gavino è lo zafferano, che lo si coltivò in maggiori quantità che in altre parti del regno, ed è molto stimato nel commercio. Chi produceva lo zafferano era di solito gente possidente, con importanti risorse economiche e finanziarie; si hanno, ad esempio, testimonianze di ricche famiglie, come quelle degli Zonca argentieri, oppure gli Oropho. Chi invece smerciava il prodotto erano le tzaffaranaias, cioè donne di una certa età che acquistavano gli stimmi dai produttori, rivendendoli al minuto sia in paese che nelle grosse città del cagliaritano: la vendita non produceva solamente denaro, ma anche scambi di olio, formaggi, legumi o vino.
Alberto Serra
Per approfondire
AAVV, Zafferano. Storia, cultura, coltivazione e Impegno a San Gavino Monreale e in Sardegna, 2003.
CASTI A, Lo zafferano di San Gavino Monreale, 2006.