«Sarà dura ma vale la pena provarci». Pamela, la mamma di Gioia, ha saputo due mesi fa che sua figlia ha un tumore al cervello. E in sessanta giorni, assieme al marito, ai parenti, agli amici, si è infilata nel dolore come se fosse lei la lama che frantuma. Dentro il dolore per lasciarsi attraversare, per guardarlo in faccia.
Gioia ha tre anni, la sua malattia è rara e terribile, glioblastoma bitalamico di quarto grado. «Significa che non abbiamo molte speranze, ce lo hanno detto dal primo giorno». La mamma di Gioia si chiama Pamela. L’ombra le ha annerito l’orizzonte in un giorno di primavera quando aveva appena dato alla luce la sua seconda figlia e Gioia pedalava felice sulla biciclettina. Era la metà di maggio.
Dopo la crisi epilettica c’è stato il ricovero in ospedale. Poi gli esami, la tac e la risonanza. E una biopsia a Milano che ha smascherato l’ombra.
«Dal 18 giugno Gioia ha iniziato le terapie. Il protocollo prevede una chemioterapia settimanale abbinata a radioterapia. Si va avanti così fino a settembre» ci riferisce Pamela.
E dopo? Do-po. Due sillabe da raccogliere come cristallo di Boemia, con mani ferme.
«I medici sono prudenti: al momento la posizione del tumore non fa pensare a un intervento. Le terapie però potrebbero cambiare la prognosi. A quel punto dobbiamo sperare. Per prima cosa che l’operazione si possa fare in Italia, e, come seconda scelta, essere pronti a portare Gioia all’estero, negli Stati Uniti o in Israele. In quei Paesi, infatti, i protocolli e le tecnologie per affrontare questa malattia sono un passo più avanti».
Le mani ferme sono tante mani. Ognuno ci mette del suo per illuminare l’ombra di Gioia.
Come avete saputo delle opportunità all’estero?
«Al momento non vi sono certezze. Abbiamo preso contatti con diversi centri specializzati nei glioblastomi. Tutti ci hanno fatto capire che il futuro di Gioia dipenderà dall’esito delle terapie ma se dovessero prospettarci una sola possibilità di intervento, o un altro tipo di trattamento lontano da qui, varrebbe la pena tentare. È stato mio fratello ingegnere, bravo a navigare sul web, a mostrarci diverse possibilità; i neurochirurgi milanesi si sono offerti di fare da ponte; abbiamo cugini che hanno raccolto la documentazione; amici che ci hanno aiutato a fondare l’associazione no profit Tutti per Gioia; altri che ci hanno aperto la pagina Facebook: da soli non ce l’avremmo fatta. C’è anche la questione economica perché le nostre disponibilità sono quelle che sono. E se per noi dovesse spalancarsi una porta, vorremmo poterci entrare».
Così è scattato il tam tam. E che tam tam. Fra tweet, messaggi amplificati da Facebook e passaparola. Sul web intercettiamo appelli di Max Biaggi, Mietta, Biagio Antonacci.
«Grazie a mia cugina ha risposto perfino il cantante dei Modà di cui la nostra Gioia è una fan» racconta Pamela. Il sindaco di Vaprio D’Adda, dove la famiglia risiede, si è mobilitato per organizzare eventi ed esporre le locandine; il «nido Verde» frequentato da Gioia ha coinvolto amichetti e genitori nei giochi senza frontiere per raccogliere i fondi.
«Vorrei rassicurare i possibili donatori – anticipa Pamela -. Non possiamo disporre della cifra raccolta se non per curare Gioia. E se le cose non dovessero andare come sogniamo, metteremo la somma a disposizione della ricerca sui tumori al cervello, oltre a condividere le nostre conoscenze e i nostri contatti con chi avrà bisogno».
Sì, perché l’amore assoluto non lascia fuori niente, abbraccia perfino l’ombra. E la cura di Gioia sta anche nella sua malattia trasformata in un impegno vitale.