Il 25 aprile 1945 l’esercito nazifascista si arrende e lascia l’Italia dopo le insurrezioni partigiane a Genova, Milano e Torino, ponendo fine all’occupazione tedesca in Italia: l’evento viene ricordato ogni anno dalla Festa della Liberazione.
A distanza di 71 anni in molti hanno dimenticato il significato di quella giornata. Le nuove generazioni non hanno mai vissuto la guerra e i più giovani non hanno conosciuto nemmeno quei nonni che avrebbero potuto raccontare gli orrori del fascismo, dell’occupazione nazista, dei campi di concentramento, della detenzione o dell’esilio (quando non direttamente l’assassinio) per il semplice fatto di essere in disaccordo col regime.
Questa perdita di memoria storica, porta con sé il ciclico ritorno di sentimenti nazionalisti, che hanno il fine ultimo di ridurre le libertà di ognuno di noi in nome di un falso senso di sicurezza: in Europa si aggira lo spettro dell’ultradestra, proprio nei paesi che diedero vita e i natali alle cause del Secondo Conflitto Mondiale.
Per questo ci piace celebrare il 25 aprile: furono giorni terribili per il nostro paese, dilaniato dalla guerra civile. Proprio per onorare quella battaglia e rendere onore al sangue versato da vincitori e vinti (spesso ragazzi giovanissimi convinti di essere nel giusto, qualunque fosse il loro schieramento non possiamo dimenticare che allora l’informazione era fortemente manipolata per fini propagandistici), vogliamo rinnovare la memoria: perché il 1945 è ormai un ricordo sbiadito nei ricordi di chi oggi ancora vive, ma è qualcosa che chi è nato in “tempi di pace” fatica persino a immaginare.
A San Gavino Monreale abbiamo un murale e un’intera piazza, a tener viva questa memoria.
“Che tu comprendessi bene, anche col sentimento, che io sono un detenuto politico e sarò un condannato politico, che non ho e non avrò mai da vergognarmi di questa situazione.
Che, in fondo, la detenzione e la condanna le ho volute io stesso, in certo modo, perché non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione. Che perciò io non posso che essere tranquillo e contento di me stesso. Cara mamma, vorrei proprio abbracciarti stretta stretta perché sentissi quanto ti voglio bene e come vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente.
La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini.”
Antonio Gramsci