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Intervista a Beppe Severgnini

La vita è un viaggio, e gli italiani viaggiano soli: c’è Beppe, un cinquantenne un po’ impiccione e incoraggiante diretto negli Usa; e c’è Marta, una giovane attrice disillusa che sta per partire alla volta del Brasile verso fidanzato e un bar sulla spiaggia. Sono bloccati nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Lisbona, in attesa di capire che sarà del loro futuro. Si scontrano, si parlano, si ascoltano, e alla fine si comprendono. Imparano qualcosa l’uno dall’altra, mescolando saggiamente due generazioni diverse che guardano alla società di oggi con umiltà e coraggio.

La vita è un viaggio

“La vita è un viaggio” è una pièce teatrale che Beppe Severgnini ha tratto dai suoi due ultimi lavori letterari. Riesce nell’intento di spiazzare il pubblico per la naturalezza con cui sa stare sul palco, per come si muove e parla, tiene i ritmi e gli sguardi e i silenzi di una commedia votata al sorriso e alla riflessione. Sul palco duetta con Marta Isabella Rizi, brillante attrice romana di stanza a Londra, che lo incalza con ironia e dosato nervosismo. L’atteggiamento viene poi smorzato dalla semplicità dei loro discorsi e dall’abbraccio materno della notte. Tra i due si inserisce di tanto in tanto Elisabetta Spada, passionale musicista e cantante nota come Kiss&Drive, che dà al lavoro un tocco di classe musicale molto apprezzato dal pubblico.

Beppe Severgnini

Severgnini ha così raccontato il suo spettacolo.

La vita è un viaggio o i viaggi aiutano a vivere meglio?
Io penso che le due cose siano vere. Credo che vedere un viaggio come cambiamento inevitabile delle proprie vicende personali sia una bel modo di affrontare le cose. Ed è vero che viaggiare aiuta a vivere perché nel muoversi bisogna essere umili, come io dico a Marta sul palcoscenico che “Tutti i popoli hanno torto” e lei mi risponde “Anche la maggior parte dei fidanzati”. Io ribatto: “Quello lo si capisce anche restando a casa”.

Questo spettacolo prende spunto solo dal libro “La vita è un viaggio” oppure hai avuto parecchie influenze cinematografiche, letterarie e musicali nel pensarlo e metterlo per iscritto?
I temi sono quelli degli ultimi due libri: “Italiani di domani” e “La vita è un viaggio”. Dal primo sono tratte le T di talento, di tempismo, di tolleranza, tenacia, terra… si parla molto del legame con la propria terra, un tema molto caro ai sardi. Invece da “La vita è un viaggio” ho tratto parole come paura, come resilienza, e come incoraggiamento, che è un po’ la parola chiave del nostro spettacolo. Io tento veramente di incoraggiare questa ragazza, in maniera goffa all’inizio. Lei invece non vuole incoraggiare me ma riesce a farlo molto bene alla fine, in qualche modo. Questo spettacolo è un collage delle mie esperienze negli aeroporti, di persone diverse che ho incontrato. Si parla poi molto di spunti letterari, musicali e cinematografici. Io e Marta giochiamo molto su questa cosa e non è un caso che lei citi “Lost in Translation” come riferimento.

È un viaggiare per imparare e tornare o per staccare il legame con le proprie radici?
Se uno viaggia e non impara niente, è scemo. Certo non è che tutti devono girare a trottola. Un consiglio per i ragazzi è “scappare per tornare”. L’Italia si migliora partendo dal Campidano, dalla Gallura, dalla Sardegna, dall’Italia fino all’Europa. Il nostro spettacolo non è un invito alla fuga. È però un invito al viaggio perché si imparano un sacco di cose. Lo spostamento può anche essere limitato, ma è l’atteggiamento quello che conta.

In questo spettacolo c’è anche uno scontro generazionale tra il tuo personaggio e quello interpretato da Marta. C’è uno scontro molto forte tra i due, a segnalare il distacco tra gli adulti e i giovani ben osservabile nella nostra società?
Più che uno scontro, che poi è solo iniziale, vi è un aiuto reciproco. Credo che nella società di oggi uno scontro sia nei limiti anche fisiologico ma non bisogna fare una apologia dello scontro o l’elogio dello scontro. Penso che cinquantenni e ventenni siano alleati naturali. Un cinquantenne ci mette la sintesi e l’esperienza di vita vissuta ma un ventenne ha la fantasia e un modo di vedere le cose che uno con il doppio dei suoi anni non ha più. Io lavoro bene con i giovani, cerco di incoraggiarli. E su questo palcoscenico si assiste a questo specie di miracolo: i due partono malissimo ma ben presto capiscono di essere complementari, non alternativi.

Sono stati tanti i giornalisti saliti sul palco: Travaglio, Cazzullo, Scanzi…. Com’è nato e da cosa è nato questo spettacolo, e cosa ti sta tornando indietro dal palcoscenico?
I giornalisti citati hanno fatto narrazioni teatrali, un bellissimo modo di avvicinare giornalismo e teatro. Questo invece è uno spettacolo teatrale, quindi è la prima volta in assoluto che un giornalista in attività diventa un attore, interpreta un personaggio, oltre ad aver scritto il testo. Dal palco mi torna indietro moltissimo: l’importanza delle parole, della pause, degli sguardi. Lavoro in un gruppo, lavoriamo assieme e questo fatto ti insegna un po’ di umiltà. Si impara tantissimo. Ed uno dei miei desideri è che chi guarda questo spettacolo se ne vada aggiungendo “La vita è un viaggio” ai sogni della notte.

Quanta Sardegna c’è nel tuo spettacolo e quanta nei tuoi viaggi?
Ce n’è tantissima, vengo qua da quando avevo 17 anni, ora ne ho 58 quindi fai un po’ il conto… nel testo ci sono alcuni riferimenti alla Sardegna, e il testo stesso è stato scritto in Sardegna perché io ho casa ad Aglientu, al nord, in Gallura. Nei miei testi metto sempre dei riferimenti alla Sardegna, da Thiesi a Cagliari, fino ai viaggi in traghetto. La Sardegna fa parte da sempre della mia vita, e in ogni libro si è intruffolato. Compreso questo spettacolo.

Simone Spada

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