A metà dell’800 furono due gli autori che parlarono di San Gavino: il Reverendo Raimondo Porru e Padre Vittorio Angius.
Il Porru scriveva che l’abitato del villaggio aveva una figura tendente all’ovale da levante verso ponente con quattro strade principali – dette rugas. Ogni casa aveva la sua piazza o cortile, con qualche albero da frutta; le case più importanti erano quelle Rettorali e quella di Don Antonio Diana.
Il villaggio, a causa della sua posizione, subiva un clima spesso freddo, umido e nebbioso – l’Angius sosteneva che era uno dei luoghi più insalubri; le malattie che colpivano i suoi abitanti erano i catarri polmonari.
Porru affermava che il carattere dei sangavinesi era generalmente pacifico e quasi tutto intento al lavoro, e non si faceva nulla di particolare in occasione di nascite, nozze o funerali; si divertivano con il ballo a suon di zampogna, specie a carnevale.
Il vestiario era sobrio: si portava il giubbone nero d’orbacci e di panno. Angius sosteneva invece che gli abitanti avevano un arte poco illuminata, con la volontà di fare solo ciò che era utile; si facevano le cose nello stesso modo degli antichi. Erano un popolo di superstiziosi, che si portavano addosso certi scrittus di alcuni sacerdoti come monili porta fortuna; avevano l’abitudine a tardare ad agire e con pochissima vivacità. Notava ancora un elevato numero di accattoni, i quali piuttosto che lavorare si affidavano alla beneficenza.
L’abitato aveva tutto intorno delle paludi, con le principali di Santu Baingiu e quella di sa piscina de sa terra bianca. Inoltre erano innumerevoli le piscine usate come abbeveratoi per gli animali, così come i siti pantanosi; per attraversare queste zone vennero costruiti nel corso dei secoli diversi ponti, uno sul rio Marianna Garau, uno in zona del Convento e uno sul Flumini Mannnu. Le feste caratteristiche erano: Santissima Vergine delle Meraviglie, Santa Severa, Santa Chiara, San Gimiliano Vescovo e Santa Lucia.
Nel 1812 ci fu una terribile carestia, tanto da farla entrare nel modo di dire: “S’ànnu dòxi”; nel 1816 ci fu un’altra carestia, e un attacco di malattie epidemiche a causa dei cibi insalubri: a San Gavino morirono 128 adulti e 130 bambini. Nel 1818 altra piccola carestia che causò la morte di 158 adulti e 160 bambini; nel 1828-29 ci fu una inondazione e l’anno dopo il paese venne colpito dal vaiolo e da febbri putride. Nel 1842 altra malattia di vaiolo e un’altra inondazione causarono morti e scarso raccolto. Nel 1846 una terribile inondazione causò gravi danni all’abitato e alle persone: molti sfollati furono accolti nella case dei nobili; queste alluvioni trasformavano le strade in veri e propri pantani.
A partire da quegli anni si iniziarono a bonificare alcune zone, come lo staini de santu ‘Angiu nel 1838, e nel 1881 venne inaugurata la ferrovia. Nel 1863 con il Regio Decreto venne formalizzato il nome del Comune in San Gavino Monreale.
Alberto Serra
Per approfondire:
GIACU G, Oltre l’Incendio, 2003.
ANGIUS – CASALIS, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S.M il re di Sardegna, 2006.
Sito del Comune di San Gavino Monreale, 2014.