“Svelato l’inganno del presidente della giunta regionale, con l’approvazione a Strasburgo del nuovo codice doganale europeo, senza alcune modifica che riguardi le sorti dell’isola, ritengo si debba porre fine alle mistificazioni e alle suggestioni che da mesi si rincorrono sui tempi e sull’iter istitutivo della zona franca sarda” – tuona Giacomo Sanna, leader del Partito Sardo D’Azione rivolgendosi al suo (ormai ex) alleato Ugo Cappellacci.
Ma cosa è successo? Mercoledì 11 settembre il Parlamento Europeo ha votato e ratificato il nuovo Codice Doganale dell’Unione Europea che di fatto esclude la Sardegna dai territori extradoganali europei e quindi mette un primo e pesante veto sull’istituzione della zona franca integrale nell’isola. Una mazzata per il presidente Cappellacci e per i comitati promotori che in questi mesi si sono battuti goffamente affinché la Sardegna potesse dotarsi di uno strumento impossibile da attuare senza un progetto e senza la stretta relazione tra il presidente della Regione e il Governo italiano. Inoltre senza contare la perimetrazione dell’isola sfora i limiti di extradoganalità previsti dal Codice dell’Unione Europea – sia quello vecchio, che quello nuovo.
A segnare l’impossibilità della zona franca integrale è la storia politica sarda, che oggi come tanti anni fa presenta una incognita importante. Infatti nel 1946, proprio il Partito Sardo D’Azione fu promotrice del primo progetto istitutivo della Zona Franca in Sardegna col beneplacito del governo nazionale che intendeva ripetere l’esperimento siciliano. La motivazione principale per cui il progetto non passò fu che il raffronto fra le entrate e le spese segnava per la Sardegna una forte passività ed escludeva per l’isola il veder le proprie casse integrate da fondi italiani. Inoltre la zona franca avrebbe fatto della Sardegna un mercato di consumo invece che un mercato di produzione. Era evidente, per chi sosteneva questa tesi, che il giorno in cui tutti avessero potuto importare nell’isola in assoluta esenzione doganale, il mercato sarebbe stato inondato di merci lavorate e tutti avrebbero avuto interesse a non fare diventare concorrenziali le imprese sarde. Esattamente gli stessi problemi che la Sardegna riscontra ancora oggi.
Il progetto di Statuto, diventato legge costituzionale nel gennaio del 1948, riservava così allo Stato italiano l’esclusiva competenza del regime doganale mentre alla Sardegna dava la possibilità di istituire dei punti franchi, ovvero quelli richiesti due giorni fa da Giacomo Sanna del Psd’Az.
Né la storia né la legge però paiono gli argomenti preferiti di Cappellacci e della Randaccio, troppo presi a lottare per garantirsi un posto al sole dopo le prossime elezioni regionali. E non piacciono nemmeno ai membri dei comitati promotori, capaci di urlare ai quattro venti il dovere della Sardegna di diventare zona franca ma incapaci di creare una piattaforma credibile per la sua attuazione e di porre una dovuta analisi dei benefici e degli svantaggi che la zona franca porterebbe alla regione. Infatti per loro non sembra importante che al taglio delle accise e dell’Iva, la Sardegna perda tre miliardi di euro, veda le sue tasse sensibilmente aumentate e veda tutti i servizi tagliati. Insomma, il quadro è quello di una Sardegna destinata a star peggio di come attualmente vive. Questo risultato è testimoniato anche dal recente dossier del Cna (Confederazione nazionale dell’Artigianato e della piccola media impresa).
Il tutto inizia il primo ottobre 2012 quando la dottoressa Randaccio annunciava che “Per istituire la zona franca c’è tempo fino al 24 giugno dell’anno prossimo, quando entrerà in vigore il nuovo Codice doganale aggiornato, che lascia vivere le vecchie zone franche ma vieta l’apertura di nuove. I tempi stringono, non abbiamo un minuto da perdere”. Un mese dopo il Parlamento Europeo decideva l’attuale codice e dava come data ultima di attuazione il primo novembre 2013. Cappellacci decideva però di inviare a Bruxelles due lettere in cui chiedeva di inserire la Sardegna tra i territori extradoganali. In realtà i tempi per emendare il nuovo codice erano scaduti, quindi non avrebbe raggiunto alcun risultato. Riuscì inoltre a sbagliare l’indirizzo delle due lettere suscitando l’ilarità dalla Comunità Europea. Nonostante ciò Cappellacci continuerà a perseverare.
Dopo aver perso più di un anno di tempo utile per ottenere la modifica dell’articolo 3 del Codice Doganale comunitario, Cappellacci si è accorto della storia e della legge sarda, ed in particolare dell’articolo 12 dello Statuto speciale:“Il regime doganale della Regione è di esclusiva competenza dello Stato”. E quindi ha chiamato a raccolta i comitati promotori e decine di sindaci da tutta l’isola a Roma mentre la regione Sicilia ci sorpassava con una mozione presentata dal presidente Crocetta e dal Movimento 5 Stelle che prevedeva l’attivazione in Sicilia delle zone franche urbane.
Cappellacci, i sindaci e diversi cittadini sardi si sono ritrovati a Roma il 24 giugno pensando che fosse la data ultima per raggiungere la zona franca integrale. Dopo aver fatto chiasso sotto Montecitorio e aver raggiunto un accordo per un incontro col primo Ministro Enrico Letta e col ministro dell’Economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni, Cappellacci e la Randaccio si ritrovano davanti il viceministro delle finanze Luigi Casero. Un palese schiaffo quello del governo che decise di schierare una sorta di sottoposto senza alcun potere decisionale. Infatti il viceministro chiese ai sardi di reincontrarsi la settimana successiva per discutere le proposte. Per tutti – Cappellacci, Scifo, la Randaccio e i comitati Zona Franca – questa è una vittoria. Infatti il giorno dopo viene diffusa la falsa notizia che lo stato italiano abbia modificato l’articolo 10 dello Statuto sardo e che la Sardegna fosse stata messa sotto regime di zona franca.
Passa una settimana e Cappellacci si ritrova sempre Casero davanti. Il quale prima tracheggia, poi dà una spiacevole notizia: “lo stato italiano non ha alcuna intenzione di promuovere con i propri soldi la zona franca integrale della Sardegna. Al più la Sardegna può decidere a sue spese di istituire alcuni punti franchi dove lo riterrà opportuno”. La verità arriva come una sberla ancor più forte della settimana precedente. Per istituire una zona franca infatti occorrono soldi. Lo Stato italiano o non li ha o ritiene di doverli spendere in altro modo. La Regione non li ha: già nel 2010 avrebbe potuto rendere l’area portuale di Cagliari una zona franca. Il Presidente dell’area portuale sconsigliò Cappellacci poiché dalla cassa della Regione sarebbe dovuta uscire subito una cifra intorno ai 10 milioni di euro per attivare le prime recinzioni, e una successiva cifra di 21 milioni di euro per concludere i lavori.
Cappellacci barcolla e per qualche mese non parla più di zona franca. La Randaccio non molla ma si tiene a stento a galla, i comitati promotori sono sfiduciati. Provano una nuova proposta: istituire delle zone franche al consumo sperimentali. Il Comune di San Gavino Monreale si propone per primo. Ma questo, come i termini tecnici e la legge insegnano, si tratta di una zona franca urbana, simile a quella istituita dal governo Monti, su mozione del PD e dell’allora ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca, nel Sulcis. La decisione venne presa per aiutare il territorio più povero d’Italia a risollevarsi. Come si vede, con un intervento dello stato nazionale.
Arriva settembre e Cappellacci ritorna in campo facendo firmare l’ennesima delibera allegra sulla zona franca ai comuni sardi aderenti. Si parla di “un obiettivo che si sta perseguendo con successo”, di una Regione che ha introdotto la riduzione dell’Irap e ottenuto dal governo la zona franca per il Sulcis. In realtà la riduzione dell’Irap è stata una proposta dell’opposizione che la maggioranza non ha posto a bilancio mentre la zona franca per il Sulcis è stata una azione di esclusiva competenza dello stato italiano.
L’11 settembre Cappellacci rimedia una nuova brutta figura dall’Unione Europea. E attacca la Barracciu, rea di non aver perorato la causa della zona franca integrale. In realtà la Barracciu poco poteva davanti ad un codice impossibile da emendare e davanti all’assurda richiesta della Randaccio e di Cappellacci di inserire la Sardegna fuori dal territorio doganale dell’Unione europea e nel contempo di renderla zona franca ai sensi degli articoli da 166 a 168 bis del codice doganale comunitario. Chiedere una cosa e l’altra, come fa il Presidente della Regione, non è possibile, perché non si può essere contemporaneamente dentro e fuori il territorio doganale dell’Unione.
Come uscire quindi da questa barzelletta? Cappellacci non ne uscirà, la userà alle prossime elezioni regionali e cercherà quindi di avvalersi dei membri dei comitati promotori per la zona franca integrale per imbastire la campagna elettorale. Una volta vinto, dimenticherà tutto quanto avvenuto durante questo anno colmo di figuracce. Se perderà, sarà costretto a veder attivati gli unici progetti possibili alla crescita della Sardegna. Quali?
Il primo è la creazione di una Agenzia delle Entrate Sarda, obiettivo dichiarato nel programma elettorale della candidata Michela Murgia, che permetterebbe il mantenimento del 70% dei tributi sardi da redistribuire poi nei vari settori del commercio, della sanità, della scuola e dei servizi. Questo progetto renderebbe ininfluente l’istituzione di zone franche al consumo e darebbe respiro alle casse regionali, da sempre dipendenti dagli umori del governo italiano.
L’altro è l’utilizzo della fiscalità di vantaggio come sta avvenendo nel Sulcis. L’articolo 116 della Costituzione Italiana riconosce alle Regioni a statuto speciale “forme e condizioni particolari di autonomia” rispetto alle Regioni a statuto ordinario e tale riconoscimento garantisce maggiori funzioni e maggiori risorse attraverso un favorevole meccanismo di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali. Tale regime è emendabile solo previa intesa fra lo Stato e la singola Regione a statuto speciale.
Il Trentino, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta hanno già raggiunto diversi accordi con lo stato. I contenuti degli accordi sono diversi per ogni singola Regione secondo forme di “federalismo a statuto speciale” di cui si è fatto promotore non il legislatore, ma la Corte costituzionale. La sentenza 357/2010 ha riconosciuto a Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia ampie prerogative anche sui tributi erariali interamente devoluti o compartecipati, consentendo la modifica sia delle basi imponibili che delle aliquote consentendo fin da subito di mettere in cantiere importanti misure di fiscalità di vantaggio. La Sardegna invece non ha ancora avviato la negoziazione con lo stato.
Un’altra possibilità per la Sardegna è offerta dal Decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 titolato “fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno”, che consente alle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia di modificare le aliquote IRAP e prevedere esenzioni, detrazioni e deduzioni nei confronti di nuove iniziative produttive. Anche in questo caso la Sardegna non ha perseguito l’obiettivo rendendo di fatto inapplicata la possibilità di ridurre l’Irap.
Finisce così la lunga battaglia del Presidente Cappellacci, della Randaccio, di Scifo e dei comitati promotori per la zona franca integrale. Uno specchietto per centinaia di sardi che hanno preferito credere ad una banalità piuttosto che guardare in faccia la realtà. Uno specchietto che si è rivelato l’ennesima dimostrazione di amministrazioni – regionali e comunali – incapaci sotto ogni profilo politico, con una mancanza evidente di progettazione e di idee.
Questo fallimento non porta solo ad una sconfitta morale per il presidente sardo ma anche per tutti coloro che si sono avvicinati al tema della zona franca integrale solo per ottenere voti in vista di prossime elezioni – regionali e, soprattutto, comunali. Purtroppo, come si è visto, una casa senza fondamenta è destinata a crollare subito dinanzi alla realtà e a qualunque analisi realistica. Anche quando la Randaccio e diversi esponenti dei comitati promotori denunciano fantomatici “poteri alti” che tramano contro la Sardegna, dimenticando che l’Unione Europea è piuttosto grande per dover perdere tempo a pensare ad un tranello contro un puntino della sua cartina geografica.
Simone Spada