Una lettrice sangavinese ci ha spedito una lettera molto accorata. Si tratta di una missiva piuttosto lunga, ma abbiamo deciso di pubblicarla integralmente. Aspettiamo i vostri commenti e le vostre risposte.
“Sesi proprio santuingesu!”. A chi non è capitato di dirlo o sentirselo dire… o magari anche solo di pensarlo, per poi trattenersi, per non offendere l’interlocutore? Ora, si fa per scherzare e rientra negli “insulti” tipici del campidano, un po come dire “seddoresu pappa faà”, “cidresu tzugu longu” oppure “tarrabesu brantaxeri”. I puristi della lingua sarda mi perdonino gli errori grammaticali, il sardo scritto non è il mio forte. Diciamo che in tal senso sono una donna semi-analfabeta: come quasi tutti i sardi, lo so a malapena leggere e scrivere.
Mi sono sempre chiesta perché noi sangavinesi non godessimo di qualche nomignolo, o di un epiteto, a parte la celeberrima filastrocca sulla “cacca di maiale”. Insomma, cosa abbiamo meno di un “gonnesu brenti piuda” qualsiasi? Da sangavinese mi sento quasi offesa.
Poi, pensandoci bene, mi sovviene un pensiero molesto: e se non ci avessero dato soprannomi perché non ce n’è bisogno? Insomma, vizi e virtù dei sangavinesi li conosciamo tutti, e forse basta il semplice “santuingesu” accompagnato ad una leggera smorfia di disgusto, per dare una seria connotazione negativa al termine.
Come sarebbe, vi chiederete voi. E me lo sono chiesta anche io, più di una volta. Io, così orgogliosa delle mie radici ben salde al centro del Campidano prima, e del Medio Campidano poi. Però poi ho iniziato a guardare il mio paese con gli occhi non più di una ragazzina orgogliosa (“barrosa“, diceva qualcuno) ma con quelli di una donna (rimasta testarda, comunque, abbastanza da partire e poi voler tornare per spendere nel mio paese le competenze acquisite “fuori” dall’Isola).
Ed è qui che ho iniziato a pensare che forse aveva ragione chi mi diceva “ma là chi sesi santuingesa” con lo scopo di prendermi in giro.
Facebook è lo specchio di un paese, ora più che mai, dato che le strade di San Gavino sono deserte, perché tutti stanno dietro allo schermo del pc, per scrivere e denigrare un paese in cui “non c’è nulla”. Certo, non è restando al calduccio e al riparo delle nostre casette che si migliora il paese. Ma anche qui va tutto bene, non tutti devono per forza arrabattarsi per creare dei diversivi, e non tutti vogliono fare il Sindaco. Tutti, però (a parole), sono bravissimi e sanno criticare l’operato degli altri, pur senza avere le minime competenze e conoscenze nel settore. Il “santuingesu” è lì, in agguato, pronto non solo a criticare, ma anche a mettersi di traverso, pur di vedere il compaesano affondare.
Sembra un’accusa generica, lo so. Per non correre il rischio di essere travisata e confusa con il “Sangavinese DOC” di cui sopra, vi spiego meglio. Ecco alcuni esempi.
Esempio 1. Apre un negozio nuovo a San Gavino? Parte il conto alla rovescia al funerale. Quanto durerà? Non più di due mesi, pronostica il Sangavinese DOC! Il proprietario è imbroglione, è antipatico, non capisce niente, rimarca, nel caso l’idea sia buona. Se tutto funziona bene, è troppo caro. Se costa poco, fa schifo lo stesso. Oppure, per partito preso, il sangavinese continua a fare i suoi acquisti a Villacidro, a Cagliari. O su Amazon e Zalando, se si sente internazionale (pubblicando link pieni di tripudio su Facebook, spesso seguiti dall’ode all’acquisto a chilometro zero).
Esempio 2. Viene creata un’associazione. Tempo qualche mese e ne spunteranno altre identiche. Piuttosto che collaborare, ci si divide e ci si fa la guerra. Guardiamoci attorno: vale per le squadre di calcio (quelle per i bambini, poi), talmente tante da non riuscire a contarle, ma vale per le associazioni culturali, per gli eventi, per l’animazione. Non sembra vero che anche gli anziani (ma non si diventava saggi con l’età? No, il sangavinese si inacidisce ulteriormente) riescano a litigare e da una associazione adesso ce ne siano non so quante.
Esempio 3. Una “pazza” o un “pazzo” sceglie di rientrare in paese per creare un business. Partono le illazioni, si cerca in ogni modo di contrastarla, se in qualche modo mina lo “status quo”. Si gode delle disfatte altrui e si rode se invece il business funziona (magari instillando negli altri il dubbio che il successo derivi da “accozzi”, o da altri “aiutini” meno nobili, se ad aver successo è una donna).
Esempio 4. Si vede anche sulle pagine Facebook del nostro paese, se mai pubblicherete questa lettera. Pubblicano un evento di un’associazione o di un altro gruppo? Bene, controllate tra i “mi piace”: i membri di alcune associazioni, si guardano bene dal ringraziare o cliccare sulla pagina, come se fossero gli altri a guadagnare dando loro visibilità (gratis, suppongo)! All’estero, ma anche nelle località turistiche del nord Sardegna in cui ho lavorato, una cosa del genere è impensabile: almeno il “grazie” è d’obbligo! Come si fa a sopportare un comportamento del genere e a continuare a pubblicare quelle notizie? Alla lunga, la maleducazione stanca!
Esempio 5. Le malelingue. Quanti della mia generazione, di noi sangavinesi nati negli anni ’70 (ma il discorso vale, immagino, per tutti) sono partiti perché in paese nessuno offriva un lavoro, per cause tutte da capire? Nomignoli di famiglia, brutta fama dei genitori o dei fratelli, sempre tutto per sentito dire. Persone onestissime che una volta trapiantate all’estero hanno avuto successo (anche di portata notevole). Poi, una volta uscito l’articolo sul giornale, tutti pronti a dire “bravo, bravissimo”! Ma perché invece non diamo possibilità alle persone QUI a San Gavino? E guardiamo invece chi va avanti, e chi occupa i posti “importanti”, nel paese…
Forse, direte, tutto il mondo è paese. Ma non lo è. San Gavino ha un male incurabile, un cancro che ci porta all’autodistruzione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la situazione politica è lo specchio di quel che affermo. Siamo talmente impegnati a dire peste e corna del vicino di casa, che abbiamo perso tutti i treni. Non riusciamo a eleggere i nostri compaesani per fare i nostri interessi laddove serve, in Provincia, alla Regione… figuriamoci in Parlamento! Eppure di persone capaci, San Gavino, ne ha sfornate! E dove sono queste persone? Molte sono partite, ma molte le abbiamo costrette a partire con i nostri comportamenti scellerati!
Non ci nascondiamo dietro la crisi della fonderia e quella “post 11 settembre”. Il problema è più ampio e radicato. Ci siamo fatti portare via tutto: Guardia di Finanza (chi si ricorda gli uffici in Piazza Marconi?), sede della Provincia (la più grande presa per i fondelli della storia), sede della ASL, lo zafferano (la sagra di Turri e Villanovaforru è pubblicizzata ovunque, al posto di fare sistema i nostri produttori si sono messi a vendere i bulbi agli stranieri), e anche il carnevale (abbiamo esportato la tecnica, insegnandola ai carnevali “rivali”)!
Questo modo di “essere sangavinese” mi è indigesto. Indigesto è un termine politicamente corretto, scriverei altri termini ma poi non mi pubblichereste la lettera! Più che una lettera, uno sfogo, un urlo disperato, d’amore, per un paese che muore. E muore perché ci sono persone che vogliono vederlo morto, spoglio, vuoto, a immagine e somiglianza del loro cuore arido e avvizzito, incapace di amare, ma pronto a spalare odio e rancore verso tutto e tutti.
E tu pensi che è una mentalità vecchia, che la speranza sono i giovani, le leve nate dagli anni ’80 in poi. E no, tra loro si annidano le persone più livorose e piene d’odio. Quelle che si specchiano nella propria incapacità, forse, e devono affondare il paese, per portarlo al proprio livello. Quelle persone che dicono “se non riesco a fare niente di buono io, perché dovrebbe riuscirci qualcun altro?” e sono sempre lì, in agguato, con le sentenze piene d’odio e disfattismo.
Questo è il Sangavinese DOC. Non servono nomignoli, basta leggere le bacheche di Facebook e Twitter dei sangavinesi dai 15 agli 80 anni. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Anche questa è San Gavino.
Fonte: Comprendo