Site icon San Gavino Monreale . Net

Talassemia, una cura rivoluzionaria a New York

Anche un sardo di 34 anni tra i dieci pazienti di tutto il mondo che sperimentano la nuova terapia. La prima fase è stata positiva, anche se molto dolorosa.

Ivano Argiolas

NEW YORK. L’ultimo giorno della terapia ha caricato su Facebook l’immagine di una sacca di sangue: «Con oggi concludo il ciclo di punture che in questa settimana mi ha messo a dura prova – scrive nella sua pagina personale, diventata un diario di viaggio –. Il risultato è in questa sacca, dentro ci sono le mie cellule staminali e perché la prima fase sia valida, il midollo appositamente stimolato dovrà essere stato in grado di averne prodotto almeno 8 milioni per ogni kg del mio peso. Se non ci sarà riuscito, la prossima volta che tornerò a New York sarà in vacanza…».

Ivano Argiolas, 38 anni, affetto da talassemia dall’età di 3 mesi, presidente dell’associazione “Thalassa Azione”,da lui fondata nel 2011, sta per rientrare a Cagliari, dopo due settimane di cure, lasciando nella Grande Mela 13 milioni di cellule per ogni chilo del suo peso. «Missione compiuta, il girone di andata è vinto – ha commentato Ivano –. A presto New York». Il turismo può aspettare, tra qualche mese oltrepasserà l’Oceano per la seconda fase di terapia, quella che deciderà se in futuro potrà vivere facendo a meno delle trasfusioni di sangue.

Meno di un anno fa, Ivano aveva deciso di prestarsi come “cavia” per una sperimentazione clinica che, se si rivelerà efficace, diventerà una strada alternativa al trapianto di midollo per la guarigione dalla malattia. Si chiama “Terapia genica per la talassemia” ed è il frutto del lavoro di un’èquipe americana del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, il centro di New York all’avanguardia mondiale per la cura contro il cancro, a cui hanno collaborato anche medici italiani e in particolare l’ospedale Microcitemico di Cagliari.

Con lui sono state scelte solo altre nove persone nel mondo per “fare questo salto nel buio”, come lo definisce Ivano. E’ un punto di partenza, la linea che segna l’arrivo è ancora lontano, ma almeno percepibile. E’ un percorso sperimentale, diviso in varie fasi, di cui ancora non si conoscono i tempi. Semplificando il linguaggio medico, si tratta di una terapia genica, in cui si prelevano dal paziente le cellule staminali, che vengono replicate grazie a un processo di stimolazione del midollo, attraverso un ciclo di iniezioni. Il numero minimo di cellule per poter andare avanti è di 8 milioni per ogni kg di peso corporeo. Vengono poi trattate e modificate in laboratorio, dove i medici proveranno a sostituire il gene talassemico che non funziona con uno normale. In una seconda fase, le cellule modificate verranno reintrodotte nel paziente, nella speranza che attecchiscano e siano capaci di produrre emoglobina da sole, in modo da diradare le trasfusioni di cui ogni paziente ha bisogno. L’obiettivo è la guarigione totale, come è avvenuto per un ragazzo francese che nel 2007 si è sottoposto a una terapia simile.

Per Ivano, accompagnato dalla fidanzata Francesca, sono stati giorni molto difficili. In meno di due settimane, i medici con lui hanno iniziato e concluso la fase 1 della sperimentazione, in cui è stata testata l’idoneità per il trapianto. «Non pensavo sarebbe stato cosi duro – racconta –. Sono arrivato a New York già stanco. Negli ultimi otto mesi ha fatto qualsiasi tipo di accertamento e anche un’operazione per l’asportazione di un adenoma. Poi ho manifestato tutti gli effetti collaterali che il dottore mi aveva preannunciato: dolori alla schiena, alle gambe e alle braccia, formicolio al viso. Il professore è contento che li abbia avuti, perché è sintomo che il midollo è stato stimolato a dovere. Insomma, sono contento di stare male

».

Negli Stati Uniti Ivano ritornerà tra qualche mese e ci resterà a lungo. L’aspettano 32 giorni di isolamento, 10 in day hospital, un piccolo ciclo di chemioterapia e quindi l’infusione del gene modificato. Per capire se la sperimentazione è veramente efficace serviranno almeno 5, 6 anni, periodo nel quale Ivano sarà un sorvegliato speciale. Se non dovesse andare tutto come previsto, c’è il rischio che queste cellule possano causare la leucemia. Le probabilità sono minime, ma tali da aver indotto uno dei dieci pazienti ad abbandonare dopo la fase 1.

Per Ivano la tensione è tanta, anche perché sulle sue spalle ricadono le speranze di tutte le mamme di bambini affetti dalla talassemia. «Mi scrivono perchè vogliono capire. Ecco perché ho deciso di rendere pubblica questa mia avventura. Che non è solo mia, interessa anche il destino di tante altre persone. Non voglio creare illusioni, ma spiegare che la talassemia puo’ essere messa in discussione», dice mentre passeggia nel salotto della McDonald Foundation, il centro di accoglienza, a pochi metri dall’ospedale, dove lui e Francesca risiedono spesati di tutto, perché è rientrato tra i pazienti a cui l’ospedale ha finanziato il progetto.

Quando ammette che, nonostante la sua fiducia nei medici, ha un po’ di paura e che Francesca inizialmente non era d’accordo, lo fa sottovoce. E ormai per i circa 1000 talassemici sardi, Ivano è un punto di riferimento. La ricerca ha fatto passi da gigante. La svolta è arrivata negli Anni 90. Come spiega anche Enzo Galanello, direttore del Microcitemico di Cagliari e così ora la talassemia è compatibile con la vita. E Ivano lo ripete come fosse un mantra. Il giorno dopo il suo arrivo a New York, prima di iniziare la terapia, insieme a Francesca, la bussola della coppia, si è concesso una passeggiata nel verde di Central Park. Cercavano la statua di Alice nel Paese delle Meraviglie, ma per caso si sono ritrovati nel luogo sacro ai fan di John Lennon: davanti alla pietra dove è incisa la parola “Imagine”.

In musica, il sogno di Ivano avrebbe sicuramente la stessa melodia: «Immagino, i bambini affetti da talassemia che non condurranno una vita intera con questa malattia, anzi sono convinto che non ricorderanno neppure di averla avuta nella loro infanzia». Un sogno. Ma è grazie al suo coraggio se un giorno diventerà realtà.

Fonte: La Nuova Sardegna online

Exit mobile version