Dopo i proclami degli anni scorsi, dopo aver subito continuamente slogan sull’importanza della “cultura” per il rilancio del territorio e soprattutto dopo aver visto spuntare come funghi associazioni culturali di ogni genere, ci si appresta a vivere un autunno stranamente silenzioso. Ci eravamo abituati a un periodo pre-sagre autunnali ben più chiassoso e con toni da campagna elettorale. L’anno passato c’era aria di rivoluzione, con eventi e proclami: “il vento sta cambiando”, dicevano. E ci eravamo illusi, innocentemente, che davvero così fosse.
Leggiamo su Wikipedia: “Le associazioni culturali, in genere apolitiche, apartitiche e senza scopo di lucro, sono associazioni costituite da volontari che si dedicano principalmente alla divulgazione e valorizzazione culturale. Data la gratuità con cui le attività sono svolte sarebbe più corretto definirle associazioni di volontariato culturale”. Bene, ma allora perché queste associazioni spesso “spariscono” dal panorama provinciale quando non ci sono fondi a cui attingere? Perché viene a mancare l’entusiasmo quando c’è da fare volontariato senza scopo di lucro?
Sia chiaro, è giustissimo che ognuno sia un po’ choosy e decida come impiegare il proprio tempo e le proprie risorse. Nessuna azienda e nessun libero professionista lavora gratis! Ecco, questo è il punto: questo ragionamento si applica benissimo alle società con Partita IVA, ma stride con il concetto di “associazione culturale”: viene quasi il sospetto che alcune vengano fondate solo ed esclusivamente per attingere a fondi pubblici, piuttosto che per creare un movimento culturale e sociale sul territorio.
E questo (legittimo) sospetto nasce quando si fanno confronti tra annate di vacche grasse e vacche magre: quando ci sono soldi, una fila di volenterosi si impegna e riempe le nostre bacheche di facebook con frasi epiche e aforismi sull’impegno civico; quando non ci sono soldi, invece, assistiamo ad un assordante (e imbarazzante) silenzio.
Questo è un po’ lo specchio dell’Italia del “magna magna”. Diciamocelo chiaramente, in tanti hanno la bella pensata di sfruttare una delle falle delle leggi italiane, fondando associazioni – piuttosto che società di persone o cooperative – per fare impresa senza avere i doveri e gli oneri legislativi e soprattutto senza pagare tasse. Del resto, non si può tassare la cultura. Ma si potrebbe – anzi, si dovrebbe – impedire ai furbetti di nascondere attività imprenditoriali dietro falso nome, non pensate?
Fonte: Manolo Aresti, Comprendo