La storia e l’archeologia sangavinese, non possono essere osservate senza tralasciare il popolo di appartenenza, indicato dai romani in quello dei beroniacensi. Pertanto, il lettore sappia che, la storia dei sangavinesi è la storia di un antico popolo, proveniente da terre lontane, culturalmente assai progredito, che si insediò in un tratto delle coste dell’isola e che pian piano, diede vita a un processo di colonizzazione, di cui i villaggi dell’agro sangavinese, ne sono il naturale proseguo. La sua identità, come popolo, proseguì sino al 1420, anno in cui vennero ceduti, ai catalano aragonesi, i diritti, della famiglia Bas Serra Narbona, a governare su quelle terre. In tal modo queste genti poterono, anche nel bonorzulese, far sventolare il vessillo delle 4 teste o reali su base oro e croce rossa, ossia i 4 pali rossi su fondo oro, (vessillo dei reali catalano aragonesi). Questo aveva come significato che, anche in quelle terre dove sventolava il vessillo delle 4 teste, si sarebbe potuti dormire tranquilli, poiché quel popolo era asservito.
I primi insediamenti umani
Per quanto concerne il territorio di San Gavino Monreale, disposto lungo il Mannu, un corso fluviale di tipo rionale, che ha origine nei rilievi tra Sardara e Sanluri e sfocia nel Marceddì, venne colonizzato dall’uomo sin dal 2600/2500 a.C. Il letto del fiume Mannu, in antico, doveva essere assai diverso; lungo il suo corso non mancavano delle depressioni che assumevano l’aspetto di ampie paludi e non mancava di dividersi in numerosi rivoli. Anche le acque sorgive erano assai frequenti, dando vita a degli stagni assai ricchi d’acqua anche nella stagione estiva. Accanto a tali zone umide si elevavano dei piccoli rilievi dove le selve prosperavano.
Per quanto concerne la colonizzazione umana, di questo territorio, una delle prime località in cui questi si insediò, fu certamente quell’area che noi oggi chiamiamo “Ruinas Mannas Il centro abitato, registrò una lunga continuità di vita, certamente come grosso centro, di rilevante importanza commerciale sino all’alto medioevo e nei pressi, era presente in età imperiale, anche un’interessante edificio termale.
Tra i vari insediamenti successivi, al centro di Ruinas Mannas, troviamo il nucleo di base dell’attuale centro abitato, dove con l’imporsi della religione cristiana prenderà vita la chiesa bizantina titolata a S. Lucia. Questa prima fase culturale, a cui possiamo ascrivere tale presenza dell’uomo, la possiamo far risalire alla cosìdetta cultura di S. Michele. I villaggi, spesse volte, sono assai ampi e alla base, le capanne possono avere una pianta rettangolare o ellitica, non possiamo escludere una forma abitativa più complessa, grazie all’uso del mattone crudo. Le abitazioni si cercava di realizzarle sui rilievi, tenendole così a riparo da possibili alluvioni, avevano il pavimento infossato, forse per poggiare su un substratto più duro. Nonostante, nelle terre da dove queste genti provenivano, si conoscesse l’uso del rame, le famiglie che si trasferirono in Sardegna, non ne facevano largo uso, pertanto si adattarono a utilizzare strumenti o utensili di pietra lavorata ed, in modo particolare, l’ossidiana, quando esplorarono il monte Arci. Lavoravano il legno e conoscevano l’uso dell’intreccio e della tessitura. Vista la plasticità delle forme che riuscivano a ricreare anche nella lavorazione della pietra, non si esclude in via eccezionale, l’uso di strumenti in rame. L’arte funeraria era costituita dalla tomba che prende il nome di Domus de Janna, si rifaceva all’abitazione terrena e contemporaneamente costituiva il passaggio per l’aldilà. Tale tipo di sepoltura è giunta a noi grazie alle tombe realizzate nella roccia. Nell’agro sangavinese però vista la mancanza di elementi rocciosi, non è improbabile che queste venissero edificate sotto il piano di campagna e realizzate in mattoni crudi e tronchi lignei.
Dall’età del rame all’età del bronzo
In tale periodo, che si è soliti collocare intorno al 2000 a. C. n. e alle genti a cultura di S. Michele, iniziarono ad associarsi altre genti che giunsero in Sardegna a causa dei grossi movimenti di popolazioni nell’Europa centrale, che attraverso diverse ondate migratorie, portarono nell’isola e in tutto il mediterraneo, la cultura megalitica. Tali nuovi gruppi, non sempre riuscirono a convivere, pacificamente, con i residenti, dando vita ad una costante situazione di conflitto. Il conflitto è anch’esso una forma di comunicazione e di scambio delle conoscenza, seppur nella violenza. In tal modo anche tra gli indigeni, iniziarono a prender corpo delle nuove forme difensive come il nuraghe. Col susseguirsi degli anni, in alcune zone, alcuni gruppi trovarono più saggio unirsi, ed il miscelarsi delle varie culture, darà poi origine alla civiltà nuragica, mentre altri gruppi preferirono continuare a vivere ai margini delle aree fertili e la razzia diventò la loro attività primaria.
Di tale movimento migratorio, nell’agro sangavinese, per il momento non abbiamo delle grosse espressioni monumentali, anche se alcuni luoghi periferici, dove poi sorgeranno dei complessi nuragici, potrebbero aver avuto origine proprio dall’insediarsi di tali genti, anche se sarà solo lo studio archeologico a darci una parola definitiva sull’argomento. Di non trascurabile interesse erano i menir in località S. Maria, ma anche i siti di Siba-manna, Sibi-scedda, Sia, Narbonis, Scrocca.
Con l’arrivo di genti a cultura megalitica i sardi devono adattarsi a difendere la proprietà e a costruire la proprie abitazioni e palazzi utilizzando nuovi materiali non più il mattone crudo per gli edifici complessi ma la pietra, non più nelle fertili aree lungo le are umide ma in luoghi dominanti, il sistema difensivo coinvolgeva il villaggio e il gruppo parentale o clan iniziava a trovare un’unione anche militare, per meglio difendere il territorio. Ecco quindi il sorgere dei gruppi etnici, che i romani indicheranno col termine di popoli tipo, quello in cui si inseriva la comunità sangavinese, quello dei Beroniacensi.