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Quando l’applauso a fine spettacolo è ancora importante

La sfida riuscita del Piccolo Teatro Umoristico con una compagnia di ragazzi che propone spettacoli tutto l’anno

L’applauso a fine spettacolo è per loro la soddisfazione più importante. Insieme a quella di passare tante giornate insieme, condividendo l’amicizia, la passione per il teatro e il desiderio di crescere insieme, come associazione e come persone. Una compagnia di giovani tra i venti e i trent’anni aperta a tutti, sia a chi ha già esperienze nel mondo del teatro sia a chi si confronta per la prima volta con questa forma d’arte. Gian Franco Serra ha 27 anni ed è presidente, regista, nonché attore del Piccolo Teatro Umoristico, associazione culturale di San Gavino.
Il Portico gli ha chiesto di raccontare la nascita di questo progetto e il dietro le quinte delle loro rappresentazioni teatrali.

Quando e come nasce il Piccolo Teatro Umoristico?
Spesso, nell’ambiente teatrale, capita che non si vada sempre d’accordo. Il 9 settembre del 2005, con altri membri reduci dalla separazione da un’altra compagnia del paese, decidiamo di fondare il Piccolo Teatro Umoristico, perché, anche se l’esperienza precedente non era terminata nel migliore dei modi, non volevamo abbandonare la nostra passione. A fine marzo festeggeremo il nostro primo anno di vita come associazione culturale.

Come organizzate il vostro lavoro? In che modo scrivete le vostre opere?
In genere i testi li scrivo io. Per far nascere un’opera teatrale a volte basta anche solo un personaggio, una scena, una battuta. A quel punto entra in gioco la fantasia e così si costruisce l’intera storia. Altre volte, invece, si parte da un’idea precisa che può essere, ad esempio, quella di raccontare un periodo storico particolare. Quando il copione è pronto, lo si legge tutti insieme e si decidono le parti. A questo punto inizia il momento più duro del lavoro, ovvero le prove, che non durano mai meno di tre mesi. Contemporaneamente lo staff prepara le scene. Alla fine si fanno le prove generali in costume e poi arriva il momento del debutto.

Quali sensazioni si provano a portare in scena per la prima volta un lavoro?
E’ una situazione molto particolare. Il debutto fa sempre paura, perché non hai idea del modo in cui il pubblico reagirà alla storia che si racconta e al modo in cui viene portata in scena. Gli spettatori hanno il potere di farti aumentare la tensione quando non li senti commentare. Invece se ti accorgi che ridono e si divertono, la paura si scioglie ed è tutto più facile.

In questo periodo di cosa vi state occupando?
Stiamo allestendo un’opera che si intitola “Su bandiu de Scabeccia”, una commedia in due atti e un prologo. Scabeccia è un paese inventato, in cui un bandito si muove indisturbato nel villaggio, lasciato libero sia dall’amministrazione comunale che dalla questura. Più avanti si scoprirà che in realtà è solo una pedina nelle mani delle Forze dell’Ordine che sono i veri mandanti delle sue tante malefatte. Alla fine, sarà stanato dalle truppe tedesche che nel 1943, anno in cui è ambientata la storia, si trovavano realmente nell’isola. 

Fonte: Alessandro Casta su Il Portico di Domenica 15 Marzo 2009

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